Roma, 8 ottobre 2020 – “L’età mediana delle persone affette dalla patologia psichiatrica che consideriamo più grave, la schizofrenia, che si rivolgono ai servizi è molto alta”. Lo evidenzia Fabrizio Starace, presidente della Società italiana di epidemiologia psichiatrica (Siep), intervistato dalla Dire per tracciare un bilancio dei servizi di salute mentale in Italia in vista della Giornata mondiale della salute mentale, il prossimo 10 ottobre.
Il dato relativo alle persone affette da schizofrenia non va sottovalutato perché, spiega Starace, “dovremmo intercettare le persone nell’età adolescenziale o nella giovane età adulta, quando sappiamo vi è l’esordio del 75% di queste condizioni. Invece li vediamo molto più avanti nel tempo. Una situazione – prosegue lo psichiatra – che deve imporre una maggiore attenzione al perseguimento degli obiettivi prioritari del Piano d’azione salute mentale ancora vigente nel nostro Paese, ma poco praticato. Ad esempio ci sono l’individuazione e il trattamento precoce degli esordi soprattutto delle condizioni psico-patologiche più gravi, come la schizofrenia”.
Osservando la situazione epidemiologica generale delle malattie mentali, il presidente Siep chiarisce che “i numeri complessivi delle persone che sono in contatto con i servizi rimangono stabili, quella che sembra ridursi è la percentuale di persone che entrano in contatto per la prima volta con i servizi e che noi chiamiamo l’incidenza dei disturbi, cioè il comparire di nuovi casi nell’anno che si prende in considerazione”.
“È un dato che deve far riflettere, perché non credo che possa essere dovuto al ridursi della frequenza delle patologie psichiatriche che anzi tutti gli elementi ci dicono sono probabilmente in crescita. Piuttosto – considera – credo che dipenda dalla scarsa fiducia che i cittadini ripongono nella possibilità di trovare risposta al bisogno proprio o dei propri figli rivolgendosi ai servizi pubblici”.
A proposito dell’affidabilità e della qualità dei servizi di salute mentale, Starace, da direttore del Dipartimento di salute mentale e dipendenze patologiche dell’Ausl di Modena, ricorda l’esperienza dell’Emilia Romagna che “ha avviato da anni un programma specifico nei propri servizi per gli esordi psicotici e ha visto così ridursi della metà il tempo che intercorre tra la prima comparsa dei sintomi e il ricorso ai servizi. Questo significa – ribadisce – che quando ci si muove in maniera coerente, dando visibilità e credibilità alle proprie azioni di cura, i cittadini si avvicinano ai servizi pubblici e questi ultimi possono lavorare con maggiore efficacia intercettando precocemente i disturbi”.
La pandemia e le restrizioni legate alla prevenzione del contagio hanno contribuito a ridurre l’accesso ai servizi sanitari in generale e anche a quelli di salute mentale. “Subito dopo il lockdown, i servizi di salute mentale hanno ripreso in maniera intensiva i contatti, innanzitutto con le persone già in carico e poi anche rispetto ai nuovi casi. Certamente – constata Starace – abbiamo dei limiti imposti dalle misure di prevenzione, ma sono limiti che posso sicuramente essere affrontati in maniera ragionevole. Ad esempio riducendo il numero di persone che partecipano alle attività a ciclo diurno di tipo abilitativo-riabilitativo e creando dei micro gruppi all’interno delle strutture residenziali. Questo riguarda non solo gli utenti dei servizi, ma anche i loro familiari e gli operatori. In tal modo le attività possono procedere senza scossoni e senza riduzioni importanti”.
Ma quali effetti hanno avuto la diffusione del Coronavirus e le regole da seguire sulla salute mentale? “I dati che abbiamo a disposizione, che sono quelli prodotti dal sistema informativo Salute mentale e pubblicati dal ministero della Salute, ci dicono che la situazione è sostanzialmente stabile – spiega il presidente Siep – anche se ci aspettiamo possibili incrementi e variazioni legati all’esposizione massiccia che la popolazione ha avuto a uno stress imponente come quello del Coronavirus – potremo approfondirlo meglio nei prossimi mesi, quando potremo analizzare i dati relativi all’immediato periodo post lockdown”.
“La popolazione giovanile è stata sicuramente quella più esposta ai repentini cambiamenti e alle condizioni di stress diffuso legati alla pandemia. In questo periodo abbiamo notato che proprio tra gli adolescenti si sono manifestate condizioni più frequenti di malessere. Ad esempio, nel nostro contesto assistenziale abbiamo rilevato un aumento dei disturbi legati all’alimentazione. Da un lato sono stati una risposta a condizioni oggettive di stress, ma forse anche come conseguenza di una maggior attenzione che i nuclei familiari hanno dedicato ai figli che in condizioni ordinarie sfuggivano a un maggior controllo”, così Fabrizio Starace descrive le condizioni di disagio psicologico dei ragazzi italiani in questi mesi di pandemia.
I ragazzi “oltre a risentire come tutti gli altri della paura del contagio e delle restrizioni imposte dal lockdown – aggiunge il presidente Siep – hanno dovuto rinunciare all’esperienza più significativa e formativa che riguarda tutti i giovani, cioè quella scolastica. E anche oggi che questa esperienza è ripresa, lo ha fatto con una serie di misure e prescrizioni che rendono la differenza tra il prima e l’attuale più importante e complessa da affrontare”.
Riguardo alle regole da seguire per prevenire il contagio e assicurare la prosecuzione dell’anno scolastico, Starace, che è anche professore a contratto di Psichiatria sociale e di salute mentale di comunità nell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, sottolinea “quanto sia determinante il ruolo sia dei docenti che dei familiari nel far comprendere bene i termini della questione, l’importanza di mantenere queste misure preventive e la prospettiva di un futuro che potrà lentamente tornare a quella che noi chiamavamo normalità, se ci atterremo a tutte queste misure. È un’attenzione importante- ribadisce- che va trasmessa ai minori”.
Sempre in tema di minori che vivono la sofferenza mentale, il presidente Siep si sofferma anche sul fenomeno della coabitazione di adolescenti e adulti nelle stesse strutture di cura. “È una situazione che si verifica in molte realtà e non è una realtà edificante, perché mettere in un contesto che dovrebbe essere riabilitativo persone che hanno avuto un recente esordio psicopatologico (i giovanissimi, ndr) e persone che sono afflitte da una condizione di malessere grave già da diversi anni non è la soluzione migliore”.
“Quello verso cui dovremmo muoverci – chiarisce Starace – è identificare le attività dei servizi ed eventuali soluzioni abitative, di accoglienza diurna e notturna, in particolare per la fascia degli adolescenti e dei giovani adulti nei quali, essendo più recente la comparsa del disturbo, è più elevata la possibilità di un trattamento efficace e in molti casi risolutivo. Lasciare invece che le persone si adagino in una condizioni di assistenza a lungo termine, senza applicare i trattamenti di provata efficacia che oggi sono disponibili, significa incrementare la cronicità non come elemento naturale della malattia ma come effetto dell’intervento o del mancato intervento del sistema di cura”, conclude.
(fonte: Agenzia Dire)