Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT: “Gli anticorpi monoclonali si stanno rivelando un’arma efficacissima nella lotta al SARS-CoV-2, bloccando l’avanzare dell’infezione. L’uso è previsto soprattutto in soggetti che non abbiano fatto la vaccinazione, ma anche in coloro che abbiano avuto una bassa risposta anticorpale al vaccino. I dati dimostrano che sono efficaci in più del 95% dei casi”
Roma, 9 dicembre 2021 – Gli anticorpi monoclonali rappresentano la nuova frontiera nella lotta al Covid-19 e si arricchiscono di nuove opzioni. Recentemente, infatti, l’Agenzia del farmaco, che aveva approvato l’uso di questi strumenti terapeutici a febbraio, ha dato il via libera a due nuove formulazioni, che permettono di guardare con fiducia al futuro della lotta al SARS-CoV-2.
L’importanza del fattore tempo degli anticorpi monoclonali nella lotta al Covid-19
Gli anticorpi monoclonali sono anticorpi diretti contro un unico antigene, proveniente da un unico clone cellulare; sono fabbricati grazie a tecniche di immunologia cellulare e ingegneria genetica in laboratori specificatamente equipaggiati. Devono essere somministrati a chi ancora deve superare la malattia e dovrebbero essere utilizzati entro 72 ore dall’inizio dell’infezione e non oltre 10 giorni dopo la rilevazione del virus. Servono ad evitare che la patologia innescata dal Covid degeneri nelle sue forme più gravi.
“Gli anticorpi monoclonali si stanno rivelando un’arma efficacissima nella lotta al SARS-CoV-2, bloccando l’avanzare dell’infezione – sottolinea il prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, SIMIT – Attualmente li stiamo utilizzando nella pratica clinica in pazienti ad alto rischio di progressione di malattia, ossia coloro che abbiano più di 65 anni di età, siano affetti da comorbosità o che facciano uso di farmaci immunosoppressori. L’uso è previsto soprattutto in soggetti che non abbiano fatto la vaccinazione, ma anche in coloro che abbiano avuto una bassa risposta anticorpale al vaccino”.
“I dati dimostrano che in più del 95% dei casi sono in grado di bloccare l’evoluzione del quadro – spiega Andreoni – La differenza sostanziale con i vaccini che è un prodotto già pronto all’uso, in quanto sono anticorpi costruiti in vitro e sono attivi in maniera molto selettiva nei confronti del virus, riconoscendo un antigene specifico della proteina spike contro cui sono diretti, mentre il vaccino deve determinare una risposta anticorpale all’interno del nostro organismo”.
Il presente e il futuro dei monoclonali, tra varianti del virus e nuovi impieghi
I dati incoraggianti risultati dall’impiego degli anticorpi monoclonali sono ulteriormente alimentati dalle nuove approvazioni effettuate da AIFA. Con Determina 156, lo scorso 25 novembre l’Agenzia del farmaco, infatti, ha approvato anche l’anticorpo monoclonale CT-P59 (Regdanvimab) di Celltrion Healthcare, già utilizzato in altri Paesi del mondo e autorizzato nei mesi scorsi dall’EMA. In Corea del Sud, fino a novembre 2021, in 129 ospedali state trattati con Regdanvimab oltre 20mila pazienti.
“Oggi abbiamo a disposizione diversi tipi di anticorpi monoclonali, tutti molto efficaci – commenta il prof. Andreoni – Possiamo utilizzare in combinazione Casirivimab-Imdevimab o Bamlanivimab-Etesevimab, mentre da soli il Sotrovimab e il Regdanvimab, ultimo approvato da AIFA a fine novembre. L’aggiungersi di nuove opzioni rappresenta un arricchimento prezioso. Alcune varianti, infatti, qualora presentassero antigeni diversi dal solito, potrebbero sfuggire agli anticorpi monoclonali. Quelli oggi disponibili, grazie anche ai costanti aggiornamenti, sono in grado di contrastare tutte le varianti che finora si sono generate. Gli ultimi arrivati sono stati già costruiti per rispondere alle varianti che stanno circolando”.
L’impiego degli anticorpi monoclonali è incoraggiato anche dai diversi usi che si potranno effettuare in un futuro ormai prossimo. “È prossima la registrazione degli anticorpi monoclonali anche in profilassi, ossia per prevenire l’insorgenza dell’infezione in soggetti che sono stati esposti al virus o in soggetti particolarmente fragili per tenerli coperti dal rischio di infezione – aggiunge il prof. Andreoni – Infine, oltre che nella profilassi dell’infezione e nella prevenzione dell’evoluzione della malattia, possono essere usati anche nel trattamento dell’infezione stessa in pazienti che abbiano un’insufficienza respiratoria e un quadro clinico avanzato della malattia. Si possono dunque adattare a tutte le diverse fasi possibili dell’infezione da SARS-CoV-2”.
Il ruolo dei medici di famiglia e il caso del Veneto
Al fine di permettere un’efficace implementazione di questo approccio terapeutico, che deve essere somministrato in tempi rapidi dalla prima comparsa dei sintomi, si rivela fondamentale il ruolo del medico di famiglia a cui ciascun paziente si deve rivolgere sin dai primi campanelli dall’allarme.
“La disponibilità di questa opzione terapeutica consente a noi Medici di Medicina Generale di indirizzare tempestivamente le persone a maggior rischio di una evoluzione complicata della infezione, che noi in quanto prime sentinelle della salute di ciascun cittadino possiamo individuare rapidamente – evidenzia Maurizio Cancian, Coordinatore per il Veneto della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie – SIMG – È importante che ciascun paziente segnali tempestivamente al proprio medico i sintomi iniziali per poter eventualmente intervenire proponendo questa terapia nelle fasi precoci. In Veneto, così come in altre regioni, esiste un portale per i MMG ove sono disponibili tutte le informazioni relative a tamponi, monitoraggi, vaccini. In caso di pazienti positivi al Covid a rischio per età o altre patologie, inseriamo nel portale i fattori di rischio che vengono inviati al più vicino centro di somministrazione di anticorpi monoclonali, che può valutare ed eventualmente procedere con la somministrazione precoce di questa terapia”.
“I centri presenti in Veneto sono 2 o 3 per ciascuna provincia. La nostra regione finora è stata una di quelle che ha somministrato il maggior numero di anticorpi monoclonali. Tra i miei assistiti, presso i quali la percentuale dei vaccinati è dell’88%, sono stati una decina i pazienti sottoposti a questo tipo di terapia, secondo una tendenza che si è intensificata nelle ultime settimane in corrispondenza della quarta ondata. Tutte le persone che hanno ricevuto questo trattamento erano non vaccinati che avevano contratto l’infezione”, conclude Cancian.