Roma, 2 dicembre 2020 – “Le risorse per la telemedicina sono state una manna dal cielo, in questo momento in cui i medici di famiglia sono tornati a essere centrali, per soddisfare i bisogni di cura non solo del Covid ma di tutte quelle patologie per le quali i pazienti non riescono ad accedere in ospedale a causa del Covid”. A dirlo è Valeria Zurlo, medico di continuità assistenziale e coordinatrice della Regione Molise per la SIMG.
“Il nostro compito con la telemedicina diventa quindi preventivo e anche organizzativo – continua – perché possiamo fare teleconsulti e indirizzare verso il giusto specialista. Se il paziente non può accedere alla visita in ospedale, costruire una rete integrata tra medici, piattaforme e specialisti che validino le diagnosi diventa la sfida del presente”.
Il Covid ha portato alla luce delle crepe nel sistema di medicina territoriale. Dove e come bisogna intervenire?
“Il virus ci ha dato la possibilità di riflettere su alcuni punti, strategici, di forza e di debolezza del sistema: nessuno aveva mai pensato che un saturimetro potesse avere un’importanza fondamentale. Esistono invece saturimetri bluetooth che possono mandare i dati al medico di medicina generale, a partire dai wearable per un telemonitoraggio in cui i medici di famiglia possono avere un riscontro immediato e fornire un’assistenza di prossimità. In questo modo il paziente può sentirsi maggiormente sostenuto e assistito: la tecnologia si integra nella medicina territoriale, non solo per il Covid ma soprattutto per le patologie croniche, per cui il saturimetro può servire”.
Esistono delle piattaforme per la gestione dei dati?
“Sì, ci sono dei gestionali per integrare i dati, di cui i medici di famiglia sono già in possesso, ma ci vorranno anche delle linee guida per creare integrazione tra le altre app disponibili. È ancora un capitolo tutto da scrivere, in questo senso, affinché ci sia protezione dei dati del paziente ma anche un utilizzo trasversale su diverse patologie e vari specialisti: serve fare rete. Esiste poi il teleconsulto, con cui il paziente può accedere alle visite con specialisti: in Toscana ci sono già delle piattaforme utili, così come la Regione Lazio che si sta attrezzando su questo e l’Emilia-Romagna. In Toscana però c’è un sistema tricamerale con cui il paziente può essere seguito sia dal medico specialista che dal medico di base”.
Ci sono delle risorse destinate alla telemedicina da parte del Ministero della Salute: di cosa parliamo?
“Ci sono 236 milioni di euro per la diagnostica di primo livello che verranno gestiti dalle Regioni, le quali stanno rendendo operative queste risorse con la costruzione di un’organizzazione di rete attraverso un catalogo a cui potrà accedere il medico di famiglia. Ci saranno pertanto 21 sistemi diversi: ogni Regione potrà decidere se destinare più risorse alla diagnostica per il consulto sulle patologie cardiovascolari, ad esempio. Questo non sostituirà le visite degli specialisti, ma sarà una prima diagnostica, di livello preventivo, per qualsiasi tipo di patologia. Ciascun medico potrà scegliere a quale settore aderire: la dermatoscopia per investigare eventuali melanomi, come diagnosi precoce della patologie cutanee, ad esempio. È il più grande investimento fatto sulla medicina territoriale dalle istituzioni centrali e consente di potenziare la diagnostica ad un livello mai avuto in Italia”.
Medicina del territorio: serve un incremento?
“Oggi siamo in un momento particolare che ha permesso di trovare delle declinazioni diverse della medicina generale: ci siamo ritrovati ad essere impegnati sette giorni su sette, 24 ore su 24. L’accesso alle cure, in questo periodo di pandemia, è un bisogno costante perché a volte non si trova neanche il supporto dello specialista per via di liste di attesa bloccate dal Covid. Il medico di famiglia è diventato un punto di riferimento centrale: ci ritroviamo a rispondere a mail, messaggi di messaggistica istantanea, telefonate; siamo diventati il fulcro delle richieste di salute.
Riuscire a smistarle correttamente è molto difficile per via delle restrizioni dovute al Covid. Al tempo stesso va valutato come calare questo schema di azione sui differenti sistemi sanitari regionali e per questo servono delle linee di indirizzo generali, compito dei sindacati, della politica e delle istituzioni di delineare. Servirà una riorganizzazione per il futuro, ora però vanno concentrate tutte le forze a contrastare l’epidemia e seguire tutte le patologie che non sono in pausa nonostante il Covid”.
Con quali risorse? Mes o Recovery Fund?
“Come operatore sanitario, in una fase di emergenza come questa, i finanziamenti e i fondi sono sempre necessari, anzi non bastano mai. I 236 milioni di euro sono già stati una iniezione molto corposa ma si spera non sia l’ultima, anche perché il settore sanitario è in assoluto da finanziare: servono risorse umane, operatori sanitari, ma anche risorse economiche non solo per l’immediato ma per ricostruire quanto è stato accantonato per far fronte all’emergenza.
La pandemia ha fatto emergere il ruolo centrale della medicina territoriale: sentiamo parlare di tante ospedalizzazioni, parametri che valutano la saturazione delle terapie intensive ma la mole dei pazienti a domicilio è enormemente più alta. Ogni medico ha almeno 15-20 pazienti Covid da seguire a casa, una media che può variare a seconda della Regione in cui ci troviamo. I soldi servono, Mes o Recovery che siano, quelli che arrivano prima e che siano ben organizzati”.
Quale rapporto tra telemedicina e medicina territoriale?
“Sulla telemedicina sono state emanate delle linee guida ministeriali già nel 2012, prima della pandemia si stavano sperimentando teleconsulti e telemedicina in varie branche della medicina specialistica. Adesso in prima linea ci sono anche i medici di medicina generale, per i quali servono linee guida più possibilmente specifiche per sistematizzare tutte le visite che non sono più possibili in presenza, ma che servono per i pazienti per essere meglio indirizzati a uno specialista, non solo ovviamente per il Covid”.
Quanto ci vorrà per ripristinare un equilibrio tra medicina territoriale e soddisfazione dei bisogni di cure?
“Questa è una domanda da un milione di dollari, come epocale è la più grande novità dell’anno: il vaccino per il Covid. La storia ci insegna che le pandemie sono lunghe e che sono seguite da sub-endemie, che durano a volte uno o due anni. Questo significa che un riferimento temporale sull’avvio di un ripristino è difficile da determinare”.
Ed entro quanto tempo non dobbiamo derogare dal ripristino della cura per le altre patologie, che ora sono in parte bloccate nell’assistenza territoriale, non ovviamente per le acuzie?
“Già oggi. Le acuzie non sono in pausa e spesso i pazienti Covid sono anche pazienti che hanno bisogno di un supporto ‘acuto’ nell’ospedale, ad esempio se sono donne in gravidanza che attendono un parto mentre sono positive o che devono essere ricoverate per il parto in totale sicurezza, se negative”.
(fonte: Agenzia Dire)