È il risultato del trial clinico internazionale coordinato dal Bambino Gesù con un farmaco salvavita. Nel 2017 i ricercatori dell’Ospedale Pediatrico della Santa Sede avevano identificato le cause di questa condizione potenzialmente letale nel 30% dei casi
Roma, 11 ottobre 2023 – La sindrome da attivazione macrofagica è una complicanza grave di alcune malattie reumatiche, che può risultare letale fin 30% dei casi. Grazie ad uno studio internazionale coordinato dal Bambino Gesù di Roma oggi sappiamo che è possibile curarla. Lo rende noto l’Ospedale della Santa Sede in occasione della giornata mondiale delle malattie reumatiche del 12 ottobre.
I risultati della sperimentazione sono stati pubblicati sulla rivista Annals of the Rheumatic Diseases. Nel 2017 i medici dell’Ospedale avevano già identificato le cause della sindrome, aprendo la strada alla ricerca di una cura efficace. “Si tratta di una grandissima soddisfazione per tutti noi, è la chiusura di un lungo percorso di ricerca” spiega il prof. Fabrizio De Benedetti, responsabile di Reumatologia del Bambino Gesù.
La sindrome che aggredisce le cellule sane
La sindrome da attivazione macrofagica (MAS dall’inglese: Macrophage Activation Syndrome) si manifesta come complicanza grave di alcune malattie reumatologiche (artrite idiopatica giovanile sistemica, malattia di Kawasaki, vasculiti sistemiche e lupus eritematoso sistemico). È caratterizzata da un’attivazione fuori misura dei macrofagi, le cellule ‘spazzino’ che abitualmente eliminano le cellule infette, ma che in questa malattia eliminano anche le cellule sane. A seconda delle forme, può causare la morte fino al 30% dei casi. Al Bambino Gesù vengono diagnosticati e curati circa 15 nuovi piccoli pazienti l’anno.
Gli studi del Bambino Gesù: dalle cause alla cura
Nel 2017 i ricercatori del Bambino Gesù avevano già scoperto che è l’interferone-gamma la molecola responsabile dell’insorgenza della sindrome da attivazione macrofagica. Si tratta di una molecola generata dalle cellule del sistema immunitario coinvolta nell’innesco e nella modificazione del processo infiammatorio.
Lo studio aveva dimostrato che l’interferone-gamma viene prodotto in grande eccesso nel fegato e nella milza, gli organi principalmente coinvolti nella MAS. Questa scoperta ha reso possibile la ricerca di una cura efficace. Normalmente la MAS viene trattata con alte dosi di cortisonici e con immunosoppressione generalizzata, ma i risultati non sono certamente soddisfacenti e la mortalità purtroppo resta alta.
Il trial clinico internazionale coordinato da medici e ricercatori del Bambino Gesù, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Annals of the Rheumatic Diseases, ha invece dimostrato l’efficacia di un anticorpo monoclonale (l’emapalumab), che neutralizza l’interferone gamma, per il trattamento della MAS.
La sperimentazione con il farmaco ‘salvavita’ ha coinvolto 14 pazienti, di età compresa tra i 2 e i 25 anni, seguiti sia al Bambino Gesù che in alcuni Centri in Francia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti. La remissione completa dalla MAS è stata ottenuta in 13 pazienti dopo una media di 25 giorni di trattamento.
In un precedente studio coordinato dal Bambino Gesù era già stata dimostrata l’efficacia di questo farmaco per il trattamento della linfoistiocitosi emofagocitica primaria, patologia caratterizzata, come la MAS, dalla proliferazione incontrollata dei macrofagi.
De Benedetti: “Il fine ultimo della nostra ricerca è sempre la cura”
“La sperimentazione ha dimostrato la straordinaria efficacia di questo anticorpo monoclonale nella completa remissione della sindrome da attivazione macrofagica – spiega il prof. Fabrizio De Benedetti, responsabile di Reumatologia del Bambino Gesù – Per tutti noi è una grandissima soddisfazione, è la chiusura di un lungo percorso di ricerca iniziato parecchi anni fa con l’individuazione dei meccanismi che causano la MAS. Un esempio dell’importanza della ricerca traslazionale il cui fine ultimo, non va mai dimenticato, è la salute delle persone. In questo caso le ricerche sulla MAS hanno portato alla identificazione di nuovi biomarcatori per la diagnosi e per la prognosi di malattia e, in ultimo, alla dimostrazione di efficacia di un farmaco salvavita visto il tasso di mortalità di questa complicanza”.