Intervista al prof. Vittorio Donato, direttore del Dipartimento Oncologia e Medicine Specialistiche, Direttore Divisione Radioterapia, AO San Camillo Forlanini di Roma e Presidente dell’Associazione Italiana Radioterapia e Oncologia clinica (AIRO)
Roma, 24 giugno 2020 – La radioterapia nel nostro Paese non ha nulla da invidiare a quella delle altre nazioni europee. Il censimento annuale condotto da AIRO, l’Associazione Italiana di Radioterapia e Oncologia clinica e presentato questa mattina nell’incontro “I numeri della radioterapia in Italia” restituisce un’immagine del nostro Paese positiva eccetto alcune disomogeneità più spiccate al Sud.
Intervista al prof. Vittorio Donato, direttore del Dipartimento Oncologia e Medicine Specialistiche, Direttore Divisione Radioterapia, AO San Camillo Forlanini di Roma e Presidente dell’Associazione Italiana Radioterapia e Oncologia clinica (AIRO).
Il radioterapista ha assunto un ruolo sempre più centrale nella lotta al cancro. In che modo la vostra professione si è evoluta, visto che la radioterapia è indicata nel trattamento del 60% dei casi di tumore?
“L’impressionante aggiornamento tecnologico degli ultimi anni ha permesso l’utilizzo delle radiazioni ionizzanti sempre più preciso e accurato. Per questo riusciamo a colpire direttamente il tumore oggi molto meglio di 20 anni fa e senza creare ulteriori problemi e complicanze importanti. È come se si trattasse di un intervento chirurgico senza bisturi. Per questo riusciamo a porre in atto trattamenti sempre più sofisticati e molto più concentrati di prima”.
Come Associazione avete condotto un censimento presentato questa mattina, una vera e propria mappatura dei centri di radioterapia in Italia. Cosa è emerso?
“La nostra Associazione ha promosso questo censimento. Uno studio interessante che ha evidenziato, a livello nazionale, che il numero degli apparecchi nei centri di radioterapia sostanzialmente è in linea con l’Europa, eccetto che nel Sud Italia. Quello che è emerso, in modo a mio avviso drammatico, è che più del 40% di questi apparecchi presenti sul territorio nazionale hanno un età maggiore di 10 anni e 12 anni. Parliamo in certi casi di apparecchi vetusti perché in 12 anni la tecnologia si è evoluta notevolmente. Le tecniche oggi sono profondamente diverse rispetto a quelle di un tempo. Tra l’altro dotarsi di nuovi macchinari è un investimento visto che sono sottoposti a radioterapia un gran numero di pazienti per cui da un punto di vista economico è addirittura vantaggioso. La radioterapia può essere effettuata su pazienti di tutte le età eccetto i bambini piccoli e in tutte le situazioni tumorali sia per cura che per il sintomo-dolore. L’applicazione dunque è vasta. In tutto il mondo l’attenzione verso la radioterapia è alta perché un trattamento efficace che può essere associato anche ad altre terapie con la chemioterapia e la chirurgia stessa. Insomma, con la radioterapia possiamo ottenere risultati importanti”.
Il Covid-19 ci ha insegnato che la sanità pubblica non è un costo ma un investimento. Se la radioterapia ricevesse maggiori risorse lei dove le allocherebbe?
“Per noi l’esperienza Covid che è stata una emergenza nazionale è stata importante. Come AIRO abbiamo promosso una survey a livello nazionale con tutti i centri di radioterapia sul territorio nazionale che hanno lavorato in tutto il periodo della pandemia. I risultati sono stati pubblicati su una prestigiosa rivista internazionale. È emerso che la radioterapia nell’emergenza non si è fermata nemmeno nelle zone rosse della Lombardia. Il servizio ai pazienti è stato prestato regolarmente, anche quando gli ospedali erano stati necessariamente stravolti per accogliere i pazienti Covid. Quindi è stato offerto a tutti i pazienti oncologici il regolare accesso a tutti gli apparecchi radioterapici e questo è un orgoglio per me, come Presidente nazionale di questa Associazione. Vorrei dire ai nostri pazienti che tutti i percorsi erano attivi. Per tornare alla sua domanda sulle risorse, quando noi dobbiamo concentrare in poche sedute il miglior trattamento, la tecnologia gioca un ruolo fondamentale, quindi se avessi maggiori fondi li destinerei all’acquisto di apparecchiature moderne che ci consentirebbero di offrire trattamenti migliori e più concentrati. L’aggiornamento di tutte le apparecchiature sul territorio italiano sicuramente è il nostro primo obiettivo. La lotta al tumore si può vincere solo con l’aiuto di tutti. Pensare allora che una disciplina giochi un ruolo più importante di altre non ci porta da nessuna parte. Nella mia lunga esperienza ho potuto appurare che quando tutte le terapie convergono verso un unico scopo, si conseguono i risultati migliori. Il mio messaggio è che ci deve essere un team davvero multidisciplinare e cioè che tutti i professionisti che lavorano su quel paziente possano dire la loro. Il paziente deve essere posto al centro di un percorso di cura condiviso da tutti gli esperti. I team multidisciplinari sono la base per vincere la lotta contro il cancro”.
(fonte: Agenzia Dire)