A volte un’immagine vale più di mille parole, chi fa il mio mestiere lo sa bene, come sa che è dovere di ogni giornalista raccontare sempre la verità, a beneficio dell’opinione pubblica.
Raccontare la sofferenza, tuttavia, non è cosa semplice, perché la sofferenza è uno degli aspetti più insondabili dell’animo umano, trascendendo ogni oggettività.
Esistono innumerevoli forme di dolore, così come innumerevoli sono da una parte le reazioni di chi soffre, dall’altra gli approcci di chi è demandato a intervenire. Un intreccio di emozioni-azioni-reazioni che trova nel Pronto Soccorso una delle sue massime espressioni.
Il PS, si sa, è un “calderone” di sofferenza, in cui sono mescolate le più disparate emergenze. Un lavoro di altissima responsabilità, svolto talvolta in condizioni estremamente precarie.
Quante volte le cronache riportano episodi di veri e propri scempi in Pronto Soccorso, alla nostra redazione giungono denunce di situazioni drammatiche: personale inadeguato o insufficiente, pazienti “parcheggiati” in corridoio per tempi indefiniti – e quante volte la tempestività fa la differenza – altri sistemati su barelle provvisorie a scapito della privacy e della dignità, condizioni igieniche discutibili. Per non parlare dell’assoluta mancanza di empatia con cui alcuni membri del personale medico-infermieristico si approccia al malato e/o ai suoi familiari.
Proprio quest’ultimo punto accomuna la maggior parte delle mail che ricevo, ed è talvolta l’aspetto maggiormente criticato, a riprova del fatto che la prima cosa di cui si ha bisogno quando si soffre è la comprensione, l’umanità, è sapere che dall’altra parte c’è qualcuno che sa prendersi cura di noi.
Aspetti, questi, che fortunatamente non mancano in molte realtà del nostro Paese, in quei PS che purtroppo non fanno lo stesso “scalpore” di quelli cattivi, ma che, seppur defilati dalle cronache, svolgono un lavoro egregio, mettendo in campo tutte quelle competenze e quelle condizioni indispensabili per affrontare ogni tipo di emergenza.
Uno di questi è il Pronto Soccorso dell’Ospedale “S. Sebastiano Martire” di Frascati (Roma), a cui purtroppo mio fratello Giuseppe è dovuto ricorrere a causa di un malore.
PS affollatissimo, emergenze di ogni tipo, agitazione che si tagliava a fettine: questo è ciò che ha visto mio fratello al suo arrivo. Eppure, dopo le prime formalità, è stato immediatamente soccorso, nulla è stato tralasciato. Lo hanno sottoposto scrupolosamente a tutti gli esami del caso, una competenza notevole coniugata con una generosa dose di umanità. Ciò ha reso la permanenza di mio fratello in Pronto Soccorso meno traumatica.
Energie e competenze che nel frattempo i medici e il personale infermieristico impiegavano nell’assistenza al notevole numero di persone in attesa.
Insomma, un lodevole esempio di efficienza che evidenzia quanto anche l’umanità dell’operatore in Sanità possa talvolta fare la differenza.
“Se all’ammalato non porti l’amore, le medicine non serviranno a niente!”. Così diceva il nostro amato San Pio da Pietrelcina.
I miei personali ringraziamenti e quelli di mio fratello Giuseppe vanno alle dottoresse M.Antonietta Colaiacomo e Paola Lapiccirella, e a tutto il personale del Pronto Soccorso di Frascati, egregiamente diretto.