L’intervento del prof. Giovambattista Desideri, direttore Cattedra di Geriatria Università de L’Aquila e ordinario di Medicina Interna e Geriatra, al 19° Congresso nazionale della Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare (SIPREC)
Roma, 17 settembre 2021 – La scarsa aderenza alla terapia va considerata come un vero e proprio fattore di rischio cardiovascolare. Ma è un fattore di rischio ‘occulto’, del quale il medico spesso non si rende conto. Si tende infatti a non considerare l’eventualità che il paziente possa non prendere i farmaci o non li assuma regolarmente.
“Una possibile soluzione contro il fattore di rischio ‘occulto’ è la polipillola – afferma il prof. Massimo Volpe, Presidente della SIPREC – cioè una combinazione fissa di farmaci appartenenti a diverse categorie (ad esempio antipertensivi, anti-colesterolo, magari anche con l’aggiunta di aspirina) all’interno di un’unica pillola. Numerosi studi e una recentissima metanalisi di Lancet hanno dimostrato come la terapia di combinazione inserita in una polipillola possa garantire un’efficace protezione cardiovascolare, determinando una riduzione di quasi il 40% degli eventi e mortalità cardiovascolari nei pazienti in prevenzione primaria”.
Le tre determinanti della scarsa aderenza alla terapia:
1. Il paziente poco convinto o ‘esitante’.
“Può sembrare lapalissiano – afferma il prof. Giovambattista Desideri, direttore Cattedra di Geriatria Università de L’Aquila, ordinario di Medicina Interna e Geriatra – ma il cuore del problema è che i farmaci funzionano solo in chi li prende. Se parliamo ancora di problema dell’aderenza è perché la non adeguata osservanza da parte del paziente della prescrizione del medico, in termini di numero di farmaci e di tempi di assunzione, rappresenta ancora uno dei principali determinanti del non completo successo terapeutico degli interventi di prevenzione.
Si stima che meno della metà dei pazienti con problematiche croniche, quali ipertensione o dislipidemia, sia adeguatamente aderente ai trattamenti prescritti e, dopo un anno dalla prima prescrizione, meno del 50% dei pazienti continui ad assumere con regolarità il trattamento, come dimostrano i dati l’Osservatorio sull’Uso dei Farmaci in Italia. Talvolta, infatti, la mancata aderenza alla terapia da parte del paziente è ‘intenzionale’, ossia il paziente sceglie consapevolmente di non seguire la terapia per le ragioni più disparate, ad esempio, l’interferenza del trattamento con le sue abitudini di vita o perché non si sente malato quando la patologia di base (ipertensione, ipercolesterolemia) è asintomatica.
E anche gli strumenti di digital health, come i remind via sms, cadono nel vuoto se non c’è il profondo convincimento da parte del paziente dell’utilità di assumere i farmaci. All’opposto, la digital health è assai utile nei casi di scarsa aderenza ‘non-intenzionale’ le cui cause vanno per lo più ricercate nella non completa comprensione da parte del paziente della terapia prescritta, oppure in saltuarie dimenticanze o nella complessità degli schemi terapeutici, frequente nei soggetti anziani con più patologie croniche”.
2. Il medico poco incisivo e l’inerzia prescrittiva.
Ma la ‘colpa’ non è certo solo del paziente. Oltre alla scarsa disponibilità e convinzione del paziente, c’è anche la scarsa disponibilità del medico a spiegare l’importanza di un’adeguata prevenzione e la sua inerzia nell’adeguare il trattamento.
“Solo una parte, una quota insoddisfacente, dei nostri pazienti – ammette il prof. Desideri – raggiungere il target di trattamento. In Italia, dove si contano 18 milioni di ipertesi, molti non assumono alcun farmaco e molti altri sono trattati in maniera non soddisfacente; mediamente nel nostro Paese circa il 60% dei pazienti ipertesi raggiunge l’obiettivo terapeutico (inferiore a 140/90 mmHg). Stesso discorso vale per la colesterolemia, meno di un terzo dei pazienti ad alto rischio raggiunge il target terapeutico (inferiore a 70 mg/dl di colesterolo LDL)”.
3. Quelle manciate di farmaci da prendere a tutte le ore (la ‘polifarmacia’).
Il terzo determinante della mancata aderenza, forse il più importante, è la complessità dello schema farmacologico. “Se mettiamo il paziente in condizione di dover assumere una manciata di farmaci al giorno – riflette il prof. Desideri – è piuttosto improbabile che possa seguire lo schema con precisione”.
La soluzione: terapie di combinazione e polipillola
“Oggi – prosegue il prof. Desideri – abbiamo a disposizione combinazioni di farmaci della stessa classe o di classi diverse che consentono di ridurre questo problema della ‘polifarmacia’, cioè di una terapia fatta di una manciata di pillole. Si stima che di norma per normalizzare la pressione servano in media dai 2 a 3 farmaci. Tre farmaci, inoltre, al paziente possono sembrare tanti, e intimorirlo per le possibili reazioni indesiderate, anche se in realtà sono molto sicuri. Inserire in una sola compressa più farmaci, che agiscono potenziandosi reciprocamente, può essere un modo per superare questa ‘esitanza’ da parte del paziente e aiutarlo a raggiungere gli obiettivi di prevenzione”.
L’efficacia della terapia di combinazione nella stessa compressa è ben codificata per la pressione arteriosa e le linee guida oggi la raccomandano, suggerendo di partire nella generalità dei pazienti con 2 farmaci nella stessa compressa per poi passare, se necessario, a una terapia di combinazione con 3 farmaci, preferibilmente nella stessa compressa.
Stessa cosa anche per i farmaci che riducono la colesterolemia. Con un solo un farmaco la probabilità di portare la colesterolemia al valore desiderato è modesta; aggiungendo un secondo farmaco questa probabilità aumenta considerevolmente e se questi due farmaci sono inseriti nella stessa pillola, questo facilita il paziente.
Ma la novità degli ultimi anni è la possibilità di avere all’interno della stessa compressa farmaci di categorie di diverse, come quelli che riducono la pressione e la colesterolemia. E questo è il concetto di polipillola. “Queste combinazioni di farmaci di classi diverse (antipertensivi e ipolipemizzanti) – afferma il prof. Desideri – hanno ormai profonde evidenze di efficacia e semplificano la gestione terapeutica del paziente. Dunque una soluzione ottima, ma non per tutti. Non possiamo trattare un paziente che non abbia mai assunto un farmaco antipertensivo o ipolipemizzante con una polipillola; questa è invece un’ottima soluzione per i pazienti che stiano già assumendo quei principi attivi; riunire quei farmaci nella stessa compressa, semplificalo schema terapeutico e garantisce una maggior aderenza. I risultati di una meta-analisi presentata all’ultimo congresso della European Society of Cardiology e pubblicata su Lancet dimostrano che una polipillola contenente almeno 2 farmaci antipertensivi, una statina ed eventualmente aspirina a basse dosi, riduce del 48% il rischio di infarto miocardico, dell’ictus del 41% e della morte per cause cardiovascolari del 35% in prevenzione primaria (cioè in soggetti che non avevano ancora avuto eventi cardiovascolari)”.