Lo studio appena pubblicato su “Microbiology Spectrum”. Sperimentato al Gemelli il test FilmArray Pneumonia Plus (FA-PP), grazie a una collaborazione tra la Microbiologia e la Rianimazione. In meno di due ore, l’esame individua il batterio responsabile della polmonite e dà indicazioni sulla migliore terapia antibiotica
Roma, 29 novembre 2021 – Come se non bastasse il Covid-19, i pazienti che finiscono in rianimazione per questa malattia, possono ulteriormente complicarsi a causa di una polmonite batterica sovrapposta. Ed è vitale dunque, per i loro polmoni già messi a dura prova dal SARS-CoV-2, individuare rapidamente la causa dell’infezione batterica sovrapposta, per poter instaurare una terapia antibiotica mirata.
Da questi presupposti nasce una ricerca, appena pubblicata su Microbiology Spectrum che dimostra l’efficacia di un test innovativo per la diagnosi rapida di polmonite batterica, il FilmArray Pneumonia Plus (FA-PP). Si tratta di un esame basato su PCR, che non richiede una coltura; viene effettuato sul liquido di lavaggio bronco-alveolare (BAL) e fornisce una risposta in appena 1-2 ore, dando informazioni non solo sul tipo di batterio implicato, ma anche sull’eventuale presenza di forme antibiotico-resistenti, cosa particolarmente importante nei pazienti ricoverati in Rianimazione.
“La polmonite – spiega il prof. Maurizio Sanguinetti, direttore del Dipartimento Scienze di Laboratorio e infettivologiche, direttore della UOC Microbiologia, Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, ordinario di Microbiologia all’Università Cattolica e presidente di ESCMID (European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases) – dal punto di vista dell’impatto clinico è molto importante, sia nel caso delle polmoniti acquisite in comunità, cioè fuori dall’ospedale, che di quelle ospedaliere”.
Si tratta di forme causate da batteri diversi; e spesso quelle ospedaliere sono causate da microrganismi antibiotico-resistenti. Purtroppo l’approccio diagnostico convenzionale (esame colturale e antiobiogramma) è complesso e a volte insufficiente; per questo può essere necessario ricorrere a terapie antibiotiche empiriche, che possono portare a un aumento significativo di consumo di antibiotici, anche inappropriato.
“Instaurare una terapia antibiotica mirata invece – sottolinea il prof. Sanguinetti – oltre a permettere di trattare in maniera più efficace la polmonite, consente di non peggiorare il problema dell’antibiotico-resistenza. Quindi, un sistema diagnostico come questo (e altri che si stanno rendendo disponibili) è molto utile in un’ottica di gestione clinica appropriata”.
Il nuovo esame consente di indagare contemporaneamente sul campione clinico la presenza di 27 diversi agenti patogeni, facendone un’analisi quantitativa (che permette di distinguere tra un contaminante e il vero agente responsabile di quella malattia); questo test permette inoltre di evidenziare la presenza di 7 diversi geni di antibiotico-resistenza, da quella per i carbapenemici (tipici di alcuni germi Gram negativi), a quelli per la meticillina (presenti in alcuni ceppi di stafilococco aureo).
“A livello europeo – prosegue il prof. Sanguinetti – sono da poco partiti due grandi progetti (VALUE-Dx e ECRAID) che valuteranno ulteriormente l’impatto di questi test nella pratica clinica. Al Gemelli, durante la seconda ondata pandemica, abbiamo valutato, in collaborazione con la nostra Rianimazione e Terapia intensiva – diretta dal prof. Massimo Antonelli, ordinario di Anestesiologia e Rianimazione all’Università Cattolica, campus di Roma – l’efficacia di questo sistema diagnostico, nella gestione dei pazienti Covid-19, per identificare il più velocemente possibile alcune co-infezioni batteriche, una problematica molto seria in questi pazienti. Confrontando il periodo della seconda ondata con quello della prima ondata e andando a valutare tante variabili, abbiamo osservato una netta riduzione del tempo necessario per instaurare una corretta terapia antibiotica. E i risultati non lasciano dubbi. Utilizzando questo test, nella seconda ondata, è stato possibile instaurare una terapia antibiotica mirata entro sei ore dall’acquisizione del campione biologico, nell’86% dei casi; durante la prima ondata, utilizzando i metodi di indagine tradizionali (esame colturale e antibiogramma) questo è stato possibile solo nel 19% dei casi, non avendo all’epoca a disposizione questo sistema diagnostico”.
La ricerca appena pubblicata è stata effettuata nell’ambito di un progetto di Ricerca Finalizzata per giovani ricercatori del Ministero della Salute, vinto nel 2018 dal dott. Gennaro De Pascale, UOC di Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e Tossicologia Clinica del Policlinico Gemelli e ricercatore di Anestesiologia e Rianimazione all’Università Cattolica, campus di Roma.