De Biasi: “Il PD deve tornare a imparare che salute non è soltanto l’augurio che si fa dopo uno starnuto”
Roma, 19 luglio 2016 – “Senza investimenti sul personale sul piano dell’occupazione, della certezza contrattuale e della formazione non andiamo da nessuna parte in sanità. Questo sia chiaro”. “Lorenzin dia l’ultimatum alle Regioni per la predisposizione dei fabbisogni di personale così da avviare i concorsi straordinari per colmare emergenze derivanti dal nuovo orario di lavoro”.
Non ha dubbi la presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato Emilia Grazia De Biasi: il personale è la priorità del SSN. E questo vuol dire che nella prossima legge di stabilità non potranno mancare i fondi necessari per il rinnovo di contratto e convenzioni e per le nuove assunzioni, necessarie a colmare i vuoti di tutti questi anni di blocco del turn over, al quale si è aggiunta l’emergenza orario di lavoro ancora non risolta nonostante gli impegni presi con la precedente finanziaria.
Ma non è solo questione di fondi. Per De Biasi il personale del SSN ha bisogno di un’attenzione strategica in grado, non solo di tamponare le emergenze di oggi, ma soprattutto di programmare i bisogni di domani. Per questo servono interventi in grado di valorizzare appieno i medici in primis ma anche tutte le altre professioni sanitarie, superando incomprensioni e polemiche scaturite da un comma 566 scritto male e che va rivisto quanto prima.
Nello stesso tempo i medici devono contare di più nelle scelte delle aziende sanitarie, anche se questo non vuol dire abbandonare le logiche di una gestione manageriale della sanità, dalla quale non si può più tornare indietro. Anzi, la managerialità di Asl e ospedali va salvaguardata e migliorata con una selezione diversa e più attenta alle competenze dei DG, come prevede la riforma Madia.
E il Pd, del quale De Biasi è un esponente di spicco, è vero che sembra aver abbandonato la sanità o quanto meno averla messa in sordina nella sua agenda politica? “Il PD deve tornare a imparare che salute non è soltanto l’augurio che si fa dopo uno starnuto”, ci ha detto la Presidente in questa lunga intervista, dove alla fine assicura sul fatto che la legge sulla responsabilità professionale sarà licenziata dalla sua Commissione prima della pausa estiva.
E poi una proposta sui farmaci: “Deve essere l’Ema a negoziare il prezzo, individuando una soglia massima valida per tutta la UE. Una cosa è negoziare il prezzo dei nuovi farmaci per 60 milioni di italiani, una cosa è farlo per 500 milioni di cittadini europei”.
Di seguito, l’intervista alla presidente Emilia Grazia De Biasi, a cura di Cesare Fassari, Anaao Assomed.
Presidente De Biasi, sono anni che i medici si sentono dire che solo grazie a loro la sanità è andata avanti in questi tempi di crisi e che i loro sacrifici hanno salvato il SSN. Ma la misura è colma. Contratto ancora al palo e senza fondi, turn over fermo, nuove assunzioni mai arrivate, e tante altre promesse mancate. A partire dall’art.22 del Patto per la salute…
Iniziamo col dire che la nostra posizione è stata chiarita già nel nostro parere sul Def: forte preoccupazione per la discesa degli investimenti in sanità e del fondo sanitario…
E i 2 miliardi promessi da Lorenzin per il 2017 sarebbero sufficienti?
Prima di tutto bisogna capire se ci sono davvero come da previsioni del Def 2017. Se ci fossero saremmo contentissimi. Soprattutto perché si potrebbe iniziare a rispondere a due priorità: il rifinanziamento del fondo per i farmaci innovativi e il personale. E questa seconda priorità è strutturale, come del resto ammette lo stesso Def che segnala una diminuzione a mio giudizio pericolosa del personale sanitario. Senza investimenti sul personale sul piano dell’occupazione, della certezza contrattuale e della formazione non andiamo da nessuna parte in sanità. Questo sia chiaro.
Sempre Lorenzin ha parlato di un fondo ad hoc per il personale del SSN.
Mah, non so se serva un fondo ad hoc, anche perché se iniziamo a immaginare un fondo per ogni emergenza penso che si rischi una forte confusione finanziaria. È certo però che per il personale sanitario serva un investimento mirato e vincolato al rinnovo dei contratti e delle nuove assunzioni. Non si può continuare con le promesse e le pacche sulle spalle. Detto questo, con la prossima legge di stabilità i soldi per i contratti e le assunzioni ci devono essere, ci mancherebbe! Sono tre anni che in occasione della legge di bilancio presentiamo proposte per il personale e i contratti e sono sempre state accantonate. Speriamo che quest’anno sia la volta buona, ma serve una sponda forte con il ministro Lorenzin. Dobbiamo lavorare in sinergia per un affondo comune, come abbiamo fatto per i farmaci innovativi. Il Parlamento è pronto a fare la sua parte.
A proposito di promesse, la stabilità dello scorso anno ha previsto l’avvio di una serie di procedure per consentire l’assunzione di nuove unità di personale (si era parlato di 3mila medici) per tamponare l’emergenza creata dal nuovo orario di lavoro europeo. Ma ad oggi si è fatto poco o nulla.
Qui c’è una responsabilità evidente delle Regioni alle quali spettava la determinazione dei fabbisogni di personale sulla base dei quali indire i concorsi. A questo punto penso che spetti al Governo chiedere un’accelerazione immediata per chiudere la partita. Non ci sono più scusanti.
Ma come può accadere che gli stessi enti titolari della gestione di Asl e ospedali non sappiano di quanto personale hanno bisogno?
Ci sono certamente differenti situazioni da una regione all’altra. Ma sono convinta che moltissimo dipenda dalla capacità dei vertici delle aziende. E in questo senso attendiamo con fiducia le nuove norme per la selezione dei direttori generali, dalle quali ci aspettiamo una svolta nelle attribuzioni di responsabilità del nuovo management sanitario per il quale, a mio avviso, dovrà essere previsto tra gli elementi vincolanti di valutazione del loro operato anche quello della determinazione dei fabbisogni di personale, in modo costante e attento alle evoluzioni dei bisogni di assistenza e salute.
Torniamo al quadro generale delle politiche del personale. Abbiamo detto dei finanziamenti, abbiamo detto dei contratti. Ma è certo che è lo stesso assetto del personale sanitario ad apparire ormai scosso da interventi legislativi che sembrano in qualche modo mettere in discussione la leadership medica. Cosa ne pensa?
Non so cosa si intenda effettivamente oggi, nel 2016, per leadership medica. Se intendiamo che al medico e solo al medico spettino la diagnosi e la terapia non ho dubbi. Essa c’è e va mantenuta senza se e senza ma. Per il resto ritengo che la realtà superi la stessa legislazione. Nelle strutture si lavora ormai in equipe e ognuno è conscio del proprio ruolo e delle proprie prerogative. Ma è indubbio che va fatta chiarezza.
Cioè?
Intanto rivedendo il comma 566, superando l’attuale impostazione ed eliminando le ambiguità in esso contenute che hanno creato solo problemi e confusione. Ribadendo la centralità del medico ma anche, se vogliamo che si continui a lavorare in team con le altre professioni sanitarie, valorizzando infermieri e altri professionisti sanitari, come del resto abbiamo fatto con la legge di riordino delle professioni, ora all’esame della Camera. Poi c’è il tema della formazione post laurea che abbiamo provato ad affrontare nell’ambito della legge di riordino delle professioni. Ma il Mef ha bocciato il nostro emendamento sugli specializzandi coinvolgendo le Regioni e gli ospedali. Non possiamo aspettare: è un tema che andrà affrontato e risolto.
Altro tema: il governo clinico. Se lo ricorda? Non è che ormai i medici nelle Asl non contano più nulla e a decidere tutto sono solo i manager?
Attenzione a non rispolverare un dibattito non so orami quanto utile. Pensare che aziende sanitarie con bilanci milionari non debbano avere un approccio manageriale alla gestione è senza senso. Ma è certo anche che, se la percezione del cittadino (e non solo) è che alla fine le cose si fanno o non si fanno nella sanità solo sulla base dei costi, ciò è sicuramente il portato di una esagerazione nella definizione delle priorità economiche rispetto agli obiettivi di salute. E questo è il lascito della cultura degli anni che abbiamo alle spalle. Ora bisogna riequilibrare la mission ma senza perdere la bussola del management, che anzi deve ulteriormente crescere in qualità e competenza.
Ma i medici potrebbero avere più ruolo nelle scelte aziendali?
È chiaro che i medici debbano avere più voce in capitolo. Ma sui temi di loro competenza. Per esempio l’appropriatezza, e per inciso colgo l’occasione per esprimere tutta la mia soddisfazione per la cancellazione del decreto e del suo assorbimento nei nuovi Lea. Come non c’è alcun dubbio che un piano diagnostico e terapeutico non si possa fare senza ascoltare i medici, come non si potrà mai attuare l’integrazione ospedale territorio senza l’apporto dei medici dei due settori. E così via.
Parliamo di politica. Secondo lei è in qualche modo fondata l’accusa che proviene da più parti secondo la quale il PD avrebbe in qualche modo abbandonato il pubblico impiego al suo destino puntando tutto sulla riforma Madia? E ancora, la stessa accusa riguarda anche l’attenzione alla sanità che, si dice, sia ormai venuta meno nell’agenda delle priorità del PD.
Andiamo con ordine. La riforma Madia è molto importante, forse non popolarissima, ma molto importante. Ma è certo che tutto sta nella sua attuazione e in questo Paese siamo troppo abituati agli annunci piuttosto che alla pratica attuativa delle leggi. Ci saranno senz’altro momenti di conflittualità ma questi si possono e devono superare ascoltando le parti, non chiudendo alla relazione col mondo del lavoro del pubblico impiego. Poi il PD deve tornare a imparare che salute non è soltanto l’augurio che si fa dopo uno starnuto.
E quest’ultima cosa come la spiega?
Diciamo che essendo la sanità un argomento e un mondo molto complesso, da tempo delegato alle Regioni e quindi disseminato nelle logiche delle politiche territoriali, si è fatto fatica in questi anni ad avere una visione unitaria e nazionale del valore della salute, come valore imprescindibile per lo sviluppo del Paese nel suo complesso. Al contrario ci siamo appiattiti sull’emergenza e sulle battaglie contro i tagli dai banchi dell’opposizione. Ma oggi siamo al Governo e va recuperata una visione complessiva della salute dell’oggi e del domani. A partire dall’universalismo come elemento chiave della sanità pubblica. Mettendo in chiaro che il fatto che il privato possa surrogare il pubblico è solo un’illusione pericolosa che non sta in piedi né dal punto di vista etico né economico. Perché non esiste un soggetto privato che possa sostituirsi al pubblico per garantire la sanità a tutti, pena la grande disuguaglianza nel diritto alla cura che si verrebbe a creare.
Va detto che la stessa disattenzione verso la sanità si potrebbe ascrivere anche alle altre forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione. In sostanza non mi sembra che la sanità sia nelle agende della politica italiana.
Assolutamente vero. E secondo me c’è un motivo di fondo. Abbiamo abituato gli italiani, e quindi anche la politica, al fatto che abbiamo un ottimo SSN e che quindi non ci sia molto da fare. E invece sappiamo che i grandi settori del welfare, come la sanità, hanno bisogno di continue attenzioni e innovazioni altrimenti il sistema arretra, inevitabilmente.
Responsabilità professionale. Che tempi abbiamo per il via libera al Senato? Ce la faremo prima della pausa estiva?
Stiamo attendendo il via libera della Bilancio sugli emendamenti e contiamo di chiudere i nostri lavori in Commissione sanità prima della pausa estiva per portare la riforma in Aula a settembre. È mio auguro che ciò accada anche alla Camera dove è in discussione l’altra riforma simbolo di questa legislatura per la sanità e cioè la riforma delle professioni sanitarie. Queste due leggi devono vedere la luce insieme. Senza dimenticare che si tratta di due leggi che finalmente ci mettono in linea con quelle europee. E se la stessa cosa si facesse anche per il farmaco non sarebbe male…
Si spieghi.
Molto semplice. Oggi abbiamo l’Agenzia europea dei medicinali, l’Ema, che si occupa di tutta la vita del farmaco, dalle norme per la sperimentazione fino all’autorizzazione in commercio. Norme vincolanti e valide in tutta l’Unione Europea. Ma l’Agenzia si ferma davanti al prezzo, delegando ai singoli Stati le trattative con le aziende. Bisogna cambiare. Il prezzo va negoziato dall’Ema, ipotizzando magari una sorta di prezzo massimo europeo sul quale semmai i singoli Stato possono ottenere ulteriori sconti in base alle specificità dei rispettivi bacini di utenza. Una cosa è negoziare un prezzo per 60 milioni di italiani, una cosa è farlo per i 500 milioni di europei.
Potrebbe essere una delle nuove mission dell’Ema “italiana”?
Milanese, prego!
fonte: ufficio stampa