L’intervento di Giorgio Cavallero, Segretario Generale COSMED
Roma, 24 agosto 2018 – “La presentazione del Disegno di legge governativo sulle cosiddette “pensioni d’oro”, ma che in realtà propone il ricalcolo retroattivo delle pensioni oltre gli 80.000 euro lordi, segna il passaggio dalle parole ai fatti in materia pensionistica.
La storia è cominciata con gli odiati vitalizi, clamoroso esempio di iniquità oggetto della rabbia popolare. In realtà con i vitalizi si è consumato un precedente a dir poco pericoloso: per la prima volta è stato ricalcolato un trattamento previdenziale, un precedente che non coinvolge poche migliaia di privilegiati ma che potenzialmente si potrebbe estendere all’intera platea di tutti gli oltre sedici milioni di pensionati.
È stato violato un principio sancito dal diritto anche se riguardante una platea impopolare. L’intangibilità dei trattamenti pensionistici era una delle pochissime certezze rimaste in questa società confusa e spesso disorientata nel tempo e nello spazio, adesso resta certa la madre, la data di nascita e poco altro.
Aldilà dei facili entusiasmi si è aperta la porta all’ignoto, quello che si è avuto in pasto è ben poca cosa rispetto alla garanzia perduta. Si rischia la perdita di un diritto per tutti e per sempre.
Sta passando un principio di retroattività delle leggi incostituzionale e inquietante, devastante per lo stato di diritto e per la credibilità di un sistema previdenziale pubblico nel quale i lavoratori hanno investito per gran parte della loro vita fino al 33% delle proprie retribuzioni.
Partendo dai vitalizi senza soluzione di continuità e con grande enfasi si è passati alle cosiddette pensioni d’oro la cui definizione è mutevole. Partiti da 10.000 euro si è arrivati a 5.000 euro netti, poi a 4.000 euro netti e da ultimo nel disegno di legge si parla di 80.000 euro lordi annui (che equivalgono con le addizionali comunali e regionali da 3.780 a 3.922 euro netti per 13 mensilità).
Dal complesso marchingegno architettato, gli estensori pensano di ricavare 500 milioni di euro annui (definito “Fondo Risparmio”), che consentirebbe una distribuzione di risorse ai pensionati con meno di 780 euro. Peccato che i pensionati con meno di 750 euro al mese sono circa 10 milioni e pertanto spalmando il ricavato si possono distribuire non più di circa 50 euro annui pro-capite (meno di 4 euro al mese per 13 mensilità).
È evidente che se si vuole alzare le pensioni basse con le risorse tolte a quelle alte bisogna tagliare ben al di sotto dei circa 4.000 euro netti e probabilmente non basterebbe nemmeno il sistema contributivo per tutti ma occorrerebbe erodere perfino i contributi versati senza rivalutazione.
I pensionati con assegno medio alto non sono dei ladri, ma cittadini che hanno avuto quanto prevedeva la legge a suo tempo vigente e i contratti di lavoro sottoscritti. Ladri semmai sono gli evasori fiscali, oggetto di benevola e compiacente attenzione, di infiniti condoni e sconti, oggi più che mai.
Si procede pertanto con la criminalizzazione retroattiva di cittadini onesti e con la riabilitazione retroattiva di quanti derubando le finanze pubbliche hanno distrutto il Paese.
L’equilibrio di bilancio si raggiunge con una seria lotta all’evasione contributiva che va di pari passo con quella fiscale. Si ipotizza un vero e proprio esproprio, per il momento limitato agli assegni più elevati, confidando sul via libera della Corte Costituzionale.
Si invoca la “giurisprudenza della crisi” e “una situazione di grave crisi del sistema stesso” per giustificare il ricalcolo delle pensioni come non lesivo “in modo eccessivo” dei valori costituzionali.
Nel merito non si tiene nemmeno conto dei contributi versati, ma si applica una penalizzazione a chi è andato in pensione prima della vecchiaia, si penalizzano le pensioni di anzianità bloccando il ricambio della classe dirigente.
Si ipotizza il ricalcolo anche per chi è andato in pensione prima del 1996, che attualmente avrebbero almeno 80 anni.
Mai si è operato in modo retroattivo sulle pensioni fino ad ora. Grottesco e ipocrita il distinguo tra tasse e taglio delle pensioni quest’ultimo sarebbe una riedizione del contributo di solidarietà che la Corte Costituzionale ha prima bocciato e poi definito legittimo ma eccezionale, tanto da indurre il precedente governo a non riproporlo.
Si vuole rendere strutturale e permanente ciò che è stato tollerato come eccezionale e temporaneo, affannandosi a dire che non si tratta di un “mascherato contributo tributario” e perfino che “non si tratta di somme prelevate e acquisite dallo Stato” in quanto il prelievo non lo farà lo Stato ma l’INPS.
Silenzio sulle altre questioni previdenziali: si parla di quota 100 ma con almeno 64 anni, meno di quanto si può ottenere con il cumulo e l’anticipo pensionistico attuale.
Quanti in campagna elettorale negavano o sottacevano il debito pubblico, adesso per aumentare le pensioni minime di pochi euro si vedono costretti a distruggere principi fondamentali del sistema previdenziale pubblico.
Prima di aprire un contenzioso infinito e rancoroso basato sul processo al passato, un passato in parte iniquo ma legittimo, occorre evitare di seguire una deriva demagogica che per cancellare i privilegi di pochi va ad incrinare l’intero sistema e con esso i diritti di tutti”.