Arezzo, 8 dicembre 2020 – Niente cibo, niente acqua, niente medicine. Gioconda aveva deciso di lasciarsi morire nel suo letto di degenza Covid. 40 giorni: prima in malattie infettive, poi in terapia intensiva intubata per 6 giorni e quindi con il casco per la respirazione. Di nuovo in malattie infettive. 40 giorni con polmonite e sepsi senza potere vedere figli e nipote. Alla fine, a 73 anni, Gioconda aveva deciso che non valeva più la pena di continuare.
“Rifiutava il cibo e le medicine, si strappava gli aghi – ricorda Danilo Tacconi, Direttore di malattie infettive dell’ospedale San Donato di Arezzo – Dal punto di vista medico stava meglio ma non potevamo curarla se lei rifiutava tutto. Abbiamo quindi alzato il telefono e abbiamo parlato con una delle due figlie. Le abbiamo raccontato cosa stava accadendo e proposto di vedere sua madre. Non entrando ovviamente in degenza Covid ma attraverso i vetri della finestra. Il nostro reparto è a piano terra e potevamo avvicinare il letto alla finestra per farle vedere le figlie. Lo abbiamo fatto. Adesso la signora Gioconda ha accettato di riprendere a mangiare e a curarsi”.
“Non so come ho fatto a non mettermi a piangere quando ho visto la mamma – racconta Manuela, una delle due figlie. L’ultima volta era stata ai primi di novembre. Lei abita al piano sotto al mio. Aveva cominciato ad avere i sintomi dell’influenza e il 3 novembre l’ho trovata in casa priva di sensi. Aveva la febbre alta e non mi riconosceva. Aveva anche vomito e diarrea. È stata quindi ricoverata”.
Sola la mamma, sola la figlia, anche lei con il Covid. “Avevo passato con lei le tre notti prima del ricovero e mi ero ammalata anch’io. I medici del San Donato mi hanno informato sempre su come stava la mamma. Hanno dimostrato tanta, umanità. Una sera una dottoressa ci ha detto che seguivano la nostra come se fosse la loro mamma. 40 giorni, 40 notti durante le quali abbiamo capito che lei stava sempre peggio. Per cinque volte ha rischiato di morire e per altrettante volte io e mia sorella Maura abbiamo pensato che avremmo dovuto organizzare il funerale. Abbiamo immaginato il dolore della mamma, la sua insofferenza al casco, il suo sentirsi sola. Quando stava bene, una delle sue domande era: chi si prenderà cura di me quando starò male? Il momento era arrivato e noi non potevamo essere con lei”.
La vita di Gioconda non è stata mai facile. “È vedova da 22 anni e mio padre è morto dopo una lunga e dolorosa malattia. Mia mamma si è sempre fatta forza. Ha avuto cura di tutti i miei nonni, anche loro colpiti da malattie e infermità. Si è occupata dei suoi genitori e dei suoi suoceri. È stata un punto di riferimento per amici e vicini. È una di quella delle donne delle quali si dice che lavorano dalle 5 della mattina alla mezzanotte. Ha fatto le pulizie, ha tagliato l’erba e ha sempre lavorato in casa, curandosi di tutti quelli che aveva vicina. E ha cresciuto me e Maura. Era e continua ad essere una nonna straordinaria per sua nipote”.
Tutte di fronte a quella che medici e infermieri di malattie infettive chiamano ormai la “finestra dell’abbraccio”.
“Non potevo entrare e parlare con la mamma. Su dei fogli, le abbiamo quindi scritto che le vogliamo bene e che ci manca. E li ho accostati al vetro della finestra. Nei suoi occhi ho visto il dolore e la paura. Spezza il cuore lasciare sola una persona che si ama quando sta male e rischia di morire. Lo so che non ci sono alternative e io non posso che ringraziare i medici per quello che hanno fatto e stanno continuando a fare. Non solo per la mamma ma anche per noi figlie, permettendoci di vederla anche se da una finestra”.
“In questi mesi – ricorda Danilo Tacconi – le abbiamo veramente provate di tutte con i nostri pazienti. Telefoniamo ogni giorno ai familiari, li teniamo informati, cerchiamo di contenere la loro ansia. Quando ci sono le condizioni nel paziente, organizziamo contatti con gli smartphone e i tablet. La ‘finestra dell’abbraccio’ è possibile, in questo caso, perché noi siamo a piano terra. È una soluzione semplice e sicura che abbiamo messo in atto in relazione alla situazione assolutamente particolare di questa paziente. Stiamo seguendo il dibattito nazionale sulla possibilità di far accedere i parenti all’interno delle degenze Covid ma i problemi sono molti. Di sicurezza ma anche organizzativi, perché sarebbe necessario far indossare tutti i dispositivi di protezione e questa è una procedure che deve essere accompagnata da personale esperto”.
Comunque mamma Gioconda ha rivisto le sue figlie e la voglia di vivere ha attraversato quel vetro. Le prime parole che ha letto dopo un mese e mezzo sono state “ci manchi” e “ti vogliamo bene”.
Come dice la figlia Manuela, “adesso mamma ha deciso di riprendere le pasticche”.