Torino, 27 luglio 2016 – In soli due giorni un appello lanciato dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino ha già raccolto oltre sessanta firme di docenti universitari di diritto.
Una nuova tecnica investigativa consiste nell’installazione occulta di virus informatici (i c.d. Trojan) in dispositivi elettronici portatili come smartphone, tablet e notebook, attraverso l’invio di email, sms o applicazioni di aggiornamento. Nuovi mezzi di ricerca della prova dalla formidabile capacità intrusiva.
Il “captatore informatico” viene iniettato nel dispositivo portatile, consentendo lo svolgimento di varie attività: captare tutto il traffico dati in arrivo e in partenza dal dispositivo ‘infettato’ (navigazione e posta elettronica); attivare il microfono e apprendere per tale via i colloqui che si svolgono nello spazio che circonda il soggetto, dovunque egli si trovi; mettere in funzione la web camera, permettendo di carpire le immagini; perquisire l’hard disk e fare copia delle unità di memoria del sistema informatico preso di mira; decifrare tutto ciò che viene digitato sulla tastiera (keylogger) e visualizzare ciò che appare sullo schermo del dispositivo bersaglio (screenshot).
La Costituzione e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo richiedono che simili ingerenze dell’autorità pubblica nella vita privata degli individui debbano essere previste e regolate dal legislatore. Il problema è che né il codice di procedura penale né altre leggi autorizzano oggi espressamente l’uso di tali strumenti in chiave investigativa, rimettendo così ai giudici il compito di stabilire se e in che misura sia consentito farvi ricorso.
Nel Documento captatori informatici, si invita dunque il legislatore, ove ritenga indispensabili tali strumenti, a provvedere prontamente a disciplinare la materia, nel pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali.
Form di adesione al link http://www.dg.unito.it/do/forms.pl/FillOut?_id=goux
fonte: ufficio stampa