Lo studio, condotto da Istituto di neuroscienze del Cnr e Ospedale San Raffaele di Milano, ha dimostrato la capacità di un nuovo vettore virale di superare la barriera emato-encefalica e diffondersi in tutto il cervello rilasciando il gene terapeutico e rallentando l’accumulo dei depositi tossici alla base della malattia. La ricerca, che apre la strada alla realizzazione di nuovi farmaci molecolari, è stata pubblicata su “Molecular Therapy”
Roma, 7 settembre 2017 – Molte malattie neurodegenerative, come il Parkinson o la demenza a corpi di Lewy, colpiscono in modo diffuso le cellule cerebrali. Uno studio italiano dimostra la capacità inedita di un nuovo vettore virale di diffondersi e rilasciare un gene terapeutico in tutto il sistema nervoso centrale, un risultato fondamentale per lo sviluppo di terapie geniche contro queste patologie.
Non solo: i ricercatori hanno testato la tecnica su modello sperimentale del Parkinson nel topo, riuscendo a ridurre i depositi tossici che causano la morte dei neuroni e a migliorare la salute degli animali.
Il lavoro è coordinato da Vania Broccoli, ricercatore presso l’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (In-Cnr) di Milano e capo dell’unità di ricerca in Cellule Staminali e Neurogenesi dell’Irccs Ospedale San Raffaele – una delle 18 strutture d’eccellenza del Gruppo San Donato. Lo studio è stato pubblicato su Molecular Therapy del gruppo Cell.
“Alla base della malattia di Parkinson e di altre simili (i parkinsonismi) c’è la formazione di depositi tossici di proteine, tra cui la principale è nota come sinucleina. Questi depositi causano la morte dei neuroni dopaminergici e rendono disfunzionanti molti altri neuroni, con sintomi motori debilitanti”, spiega Broccoli, coordinatore dello studio.
“Mentre esistono diverse cure per trattare i sintomi, mancano trattamenti efficaci nel rallentare la progressione della patologia, attaccando la formazione dei depositi tossici – prosegue Broccoli – La terapia genica, con la sua capacità di fornire geni terapeutici alle cellule, è un’ottima candidata: sappiamo infatti che l’enzima prodotto dal gene GBA1 è in grado di smaltire questi depositi e ci sono evidenze della riduzione della capacità di azione di questo enzima nella malattia del Parkinson. Circa il 5% dei malati di Parkinson – quelli con le forme più aggressive e precoci – presentano una mutazione nel gene GBA1, che rende questo enzima ‘spazzino’ poco efficace. Poter fornire alle cellule nervose di questi pazienti maggiori copie del gene potrebbe aiutarle a produrre la giusta quantità di enzima per eliminare i depositi, facendo così regredire la malattia”.
Il problema è che i vettori virali impiegati di solito in terapia genica – ovvero i virus che, svuotati del loro contenuto virale, vengono utilizzati per consegnare i geni terapeutici alle cellule – sono incapaci di diffondersi nel sistema nervoso e agiscono solo su aree di tessuto ridotte.
Il virus testato nello studio – e messo a punto appena un anno fa presso il California Institute of Technology – è diverso.
“La scoperta dell’efficacia di questo nuovo vettore nel superare la barriera emato-encefalica e nel diffondersi in tutto il cervello è fondamentale: cambia le carte in tavola per il trattamento delle malattie neurodegenerative diffuse come il Parkinson – prosegue il ricercatore – Con questo vettore la terapia genica per questi disturbi diventa molto efficace. Lo abbiamo dimostrato nel caso del Parkinson. Seppure si tratti di un risultato limitato al modello sperimentale, è molto promettente”.
Nello studio infatti, dopo aver caratterizzato la capacità di questo virus di diffondersi in tutto il sistema nervoso centrale, i ricercatori hanno testato la sua efficacia dandogli da consegnare, nel cervello di topi parkinsoniani, il gene terapeutico GBA1, quello che produce l’enzima spazzino in grado di eliminare i depositi proteici.
“Una singola iniezione nel sangue di questo virus ha permesso di attivare il gene GBA1 in vaste aree del cervello e prevenire o rallentare la formazione degli accumuli, proteggendo i neuroni – conclude Broccoli – In animali parkinsoniani questo trattamento ha bloccato lo sviluppo della malattia, mantenendo inalterate le loro capacità motorie e cognitive, con un aumento dell’aspettativa di vita. Il prossimo passo sarà testare ulteriormente sicurezza ed efficacia della terapia in laboratorio prima di arrivare al primo studio sull’uomo”.
Lo studio è stato finanziato da Comunità Europea, Regione Lombardia e associazione americana Michael J. Fox Foudation.