Arezzo, 22 novembre 2018 – Si celebra il 24 novembre la Giornata Nazionale sul Parkinson, una malattia neurodegenerativa causata dalla progressiva morte delle cellule nervose (neuroni) situate nella cosiddetta sostanza nera, una piccola zona del cervello che, attraverso il neurotrasmettitore dopamina, controlla i movimenti di tutto il corpo.
Chi ha il Parkinson, proprio per la progressiva morte dei neuroni, produce sempre meno dopamina, perdendo il controllo del suo corpo. Arrivano così tremori, rigidità, lentezza nei movimenti. È stato dimostrato che i sintomi iniziano a manifestarsi quando sono andati perduti circa il 50-60% dei neuroni dopaminergici.
Ad Arezzo sabato 24 novembre dalle 9.00 all’Auditorium Pieraccini dell’ospedale San Donato, autorità, professionisti e associazioni si confronteranno sul tema: “Il 2018 tra complessità, bisogni prospettive e impegno comune”. L’ingresso all’iniziativa, organizzata da Asl Toscana sud est, Cesvot e APAR (Associazione parkinsoniani aretini onlus) è libero.
“Nella provincia aretina – spiega Piero Coleschi, direttore del Centro Parkinson – i malati sono circa 1.000 e 350 di loro sono seguiti dal nostro Centro. Si tratta di una patologia in aumento: infatti si pensa che nel 2030 saranno il doppio di oggi. Nel 5-10% dei casi, i primi sintomi insorgono prima dei 40 anni”.
“Intercettare i primi sintomi di una patologia cronica è importantissimo per tenere sotto controllo il decorso della malattia e iniziare subito la terapia – afferma Enrico Desideri, direttore generale Asl Toscana sud est – Ecco perché è stata istituita la Rete del Parkinson, ovvero un percorso condiviso con il medico di famiglia che ai primi sintomi del paziente lo indirizza ai professionisti ospedalieri per una diagnosi precoce. Una volta fatta la diagnosi, il paziente sarà seguito da un’equipe in cui il medico di famiglia e lo specialista collaborano con controlli periodici programmati, al fine di evitare l’evoluzione della malattia e l’insorgenza di complicanze e disabilità”.
Oggi la malattia colpisce circa il 3 per mille della popolazione generale, e circa l’1% di quella sopra i 65 anni. In Italia i malati di Parkinson sono circa 300.000, per lo più maschi (1,5 volte in più), con età d’esordio compresa fra i 59 e i 62 anni.
Quando pensiamo al Parkinson, infatti, si immagina il tremore che colpisce soprattutto una mano del paziente. Il tremore non è invece più il sintomo più significativo per la diagnosi, anche se rimane fra i più appariscenti: il 30% dei pazienti, infatti, non ha questo problema.
“La lentezza dei movimenti – continua Coleschi – la rigidità muscolare, vissuta dal paziente come una sorta di rigidità o resistenza di un arto al movimento passivo, la depressione, i disturbi del sonno e la sensazione di ridotta indipendenza, sono alcuni dei sintomi che insorgono precocemente con disturbi lievi e limitati, che se intercettati dal professionista portano il paziente verso una diagnosi precoce e a cure più efficaci. La demenza compare nella fase avanzata e può riguardare il 20-25% dei parkinsoniani”.
I più giovani ignorano i sintomi. Il 25% dei malati di Parkinson non sa di esserlo perché i sintomi sono leggeri e confondibili con altri, e quindi non ha ottenuto una diagnosi certa: succede soprattutto ai pazienti nella fascia di età 40-50 anni. Per esempio, la rigidità di un arto viene attribuita a cause quali un’infiammazione articolare, reumatismi, postura scorretta. In realtà possono essere i primi segnali della malattia.
Il medico di famiglia deve allora abituarsi a pensare anche all’eventualità del Parkinson, nonostante la giovane età del paziente, se i sintomi non trovano sollievo o conferme sulla causa dagli esami.
La gestione della malattia di Parkinson prevede una presa in carico globale dei pazienti, sia con cura farmacologica che con interventi di carattere riabilitativo in grado di migliorare le loro capacità funzionali.