Papillomavirus, i ginecologi fanno chiarezza sull’importanza e l’efficacia della vaccinazione

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Stimata una riduzione dell’incidenza dei tumori HPV-correlati fino al 90%. Combattere disinformazione e pregiudizi sui vaccini e diffondere una maggiore cultura della prevenzione attraverso lo screening

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Milano, 7 giugno 2017 – La SIGO (Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia), la AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani) e la AGUI (Associazione Ginecologi Universitari Italiani) che rappresentano l’intero panorama della ginecologia del nostro Paese, in accordo con le evidenze scientifiche e con le Istituzioni Sanitarie nazionali ed internazionali e con L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), intendono fare chiarezza sull’importanza della vaccinazione contro il papillomavirus per la prevenzione del cancro del collo dell’utero e delle malattie e dei tumori dell’area ano-genitale. Ciò anche allo scopo di fugare dubbi e false informazioni che rischiano di disorientare i cittadini e di ridurre l’adesione al piano vaccinale, con la conseguenza di compromettere questa importante iniziativa pubblica sanitaria e sociale.

Il tumore del collo dell’utero (carcinoma cervicale, cervicocarcinoma) riveste grande importanza in ambito oncologico, non solo perché è il terzo tumore più frequente nella donna, ma anche perché è l’unico che può essere prevenuto grazie allo screening (Pap test e HPV test), nonché la prima neoplasia non ematologica a esser stata direttamente correlata a un’infezione virale: l’infezione da papillomavirus umano (HPV), in particolare rispetto a 13 sottotipi ad alto rischio.

Ciò ha reso possibile lo sviluppo di test di screening molecolari (HPV DNA test), da affiancare al Pap test, e di vaccini contro i sottotipi più diffusi e clinicamente rilevanti di HPV. Screening e vaccinazione, insieme a corretti stili di vita, rappresentano la vera prevenzione primaria del carcinoma cervicale e di tutte le altre neoplasie correlate all’HPV a carico di vagina, vulva, ano e oro-faringe, nonché delle lesioni condilomatose a carico dell’apparato anogenitale.

I vaccini anti HPV attualmente disponibili, che coprono fino a nove sottotipi del virus (16, 18, 6, 11, 31, 33, 45, 52 e 58) rappresentano un’arma straordinaria di prevenzione dell’infezione persistente da HPV, delle lesioni pre cancerose da questa causate e dei tumori ad essa correlate.

I vaccini anti HPV, la cui efficacia e sicurezza sono state confermate dalle autorità regolatorie internazionali, sono raccomandati a tutti gli adolescenti prima dell’esposizione sessuale. In Italia, la vaccinazione anti HPV è offerta attivamente e gratuitamente a tutte le dodicenni (11 anni compiuti) dal 2007-08.

Il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-19 ha inserito la vaccinazione anti HPV nel calendario vaccinale per tutti gli adolescenti di sesso femminile e maschile, da effettuarsi nel corso del 12° anno di età.

La recente pubblicazione, da parte dell’AIFA, del rapporto sulle presunte reazioni avverse dopo la vaccinazione, dimostra che, per quanto concerne i vaccini anti HPV, i dati sono in linea con quelli di tutti gli altri vaccini e smentiscono il catastrofismo legato ad un pregiudizio scientificamente inaccettabile sui vaccini in genere.

I vaccini anti HPV e gli esiti dei programmi di prevenzione vaccinale sono una delle aree mediche con il maggior numero di evidenze prodotte negli ultimi anni. Le autorità competenti di tutto il mondo hanno raccomandato e raccomandano l’implementazione di programmi vaccinali contro l’HPV (OMS, EMA, FDA, ECDC, CDC, SAGE, ecc.) e ne sottolineano l’importanza, la sicurezza e l’efficacia.

I dati di efficacia dei vaccini anti HPV sono il risultato di oltre 10 anni di studi clinici e ricerca che hanno preceduto la loro immissione in commercio. Il profilo di sicurezza è stato valutato attraverso studi di fase III che hanno coinvolto decine di migliaia di soggetti di ambo i sessi.

Per quanto concerne possibili effetti secondari della vaccinazione, nella quasi totalità dei casi sono stati riscontrati effetti passeggeri di lieve e modesta entità. I vaccini hanno dimostrato un’efficacia clinica di quasi il 100% nel ridurre le lesioni pre cancerose del collo dell’utero (CIN3) causate da HPV 16 e 18, responsabili di circa il 70% dei casi di cervicocarcinoma invasivo.

È stata altresì dimostrata l’efficacia dei vaccini nel ridurre l’incidenza di lesioni precancerose a carico di altri organi, quali vulva, ano e vagina. Anche i primi studi di “vita reale” (real life), di recente pubblicazione, evidenziano l’efficacia diretta dei programmi di vaccinazione sulla popolazione, rilevando un significativo calo dell’incidenza delle patologie HPV correlate, proporzionale al tasso di copertura vaccinale della popolazione studiata.

Il raggiungimento e il mantenimento nel tempo di un’adeguata copertura vaccinale sono fondamentali per l’efficacia di un programma di vaccinazione attivo e per la sua sostenibilità economica. La percentuale di copertura auspicata dal Ministero nel 2007 (95% delle coorti attivamente chiamate) è ben lungi dall’essere stata raggiunta. Il tasso di copertura nazionale delle dodicenni, assestatosi negli ultimi anni intorno al 70%, è recentemente calato a meno del 60%.

Le ragioni di questa difficoltà a comunicare in modo appropriato i benefici della prevenzione vaccinale alla popolazione sono molteplici: disinformazione e pregiudizi sui vaccini in generale e ragioni più propriamente correlate alle malattie HPV correlate. Il papillomavirus, infatti, è ubiquitario, vale a dire che ognuno di noi vi entra in contatto ed è oggetto di una infezione temporanea nel corso della propria vita.

Il virus interessa esclusivamente cute e mucose e non causa viremia e conseguente produzione anticorpale. Ciò significa che le difese immunitarie locali dell’ospite – se in buona salute e in assenza di altri cofattori capaci di ridurne l’efficacia – sono nella stragrande maggioranza dei casi capaci di circoscrivere l’infezione e indurre in breve tempo (mediamente 8-14 mesi) l’eliminazione spontanea del virus.

In alcuni casi, tuttavia, l’organismo non riesce ad eliminare il virus, specie i sottotipi ad alto rischio e a potenziale oncogeno, che riesce a persistere e ad integrarsi nel genoma dell’ospite immortalizzando la cellula squamosa colpita e innescando il meccanismo della trasformazione tumorale.

È intuitivo che sia molto difficile comunicare al cittadino la complessità della storia naturale dell’infezione e far comprendere la contemporanea innocuità della singola infezione ma la potenziale severità dell’infezione persistente e delle patologie ad essa correlate.

La stessa co-disponibilità attuale di prevenzione primaria (vaccinazione) e secondaria (screening organizzato) del cervicocarcinoma è per assurdo in qualche modo fonte di problematiche comunicative. I concetti di integrazione e complementarietà delle due iniziative di salute pubblica sono ovvi ma difficili da spiegare, in una realtà attuale dove la maggioranza dei casi di tumore invasivo diagnosticati in Italia non ha mai eseguito un Pap test.

L’obiettivo razionale della prevenzione cervicale nei paesi industrializzati, ovvero un significativo calo di prevalenza del virus in ambo i sessi, richiede evidentemente per la sua realizzazione una comprensione dei termini della questione che molti, incluse alcune organizzazioni che si auto definiscono paladine della salute pubblica, sono lungi dall’aver raggiunto.

Il cammino è ancora lungo ma è in corso e la recentissima introduzione del vaccino nonavalente rappresenta un’accelerazione positiva verso la meta, dal momento che si stima che porterà a una riduzione dell’incidenza del tumore di oltre il 90%.

Lo sforzo comunicativo e informativo da parte delle diverse figure istituzionali e professionali coinvolte (dal Ministero della Salute alle istituzioni medicali e del farmaco e le Società Scientifiche, dai medici di sanità pubblica ai pediatri, ai ginecologi, ai medici di medicina generale) deve essere maggiore, costante e sempre più e meglio coordinato, perché forte è il “potere della bufala” o della disinformazione, talvolta anche in perfetta buona fede, nel modello comunicativo e relazionale proprio della società attuale.

È uno sforzo immane, ma la conferma che sia una battaglia che debba essere combattuta viene dagli occhi e dalle parole di ogni donna che ancora oggi, quotidianamente, giunge nei nostri reparti per colpa di una malattia potenzialmente eradicabile.

fonte: ufficio stampa

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