Roma, 19 marzo 2021 – Risposte concrete, sia sul versante propriamente lavorativo, sia su quello della conciliazione tra vita privata e lavoro. È quanto chiede l’AAROI-EMAC in una lettera aperta inviata al Ministro della Salute, ai Governatori, agli Assessori alla Sanità delle Regioni e ai Direttori Generali AUSL/AOU/IRCCS.
Un vero e proprio appello ai Decisori Politici Nazionali, agli Amministratori Regionali e agli Amministratori degli Enti Ospedalieri del SSN ai quali si chiede che si coordinino per l’emanazione, la riedizione e l’applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale dei provvedimenti normativi necessari affinché l’enorme impegno professionale e umano che i Medici rappresentati dall’AAROI-EMAC ogni giorno continuano a porre al servizio della Comunità possa proseguire senza esporre l’intera categoria ad ingiusti rischi di burn out.
L’AAROI-EMAC chiede provvedimenti per fronteggiare le carenze dei Medici Ospedalieri più in trincea di tutti, che l’Associazione rappresenta, duramente provati da una Pandemia che ne ha dimostrato la vitale importanza per la salute pubblica, per i quali è sempre più difficile conciliare il superlavoro con la vita privata e familiare, anche in prospettiva della prossima ripresa delle attività in sala operatoria, gravemente ridotta a causa dell’emergenza sanitaria tuttora in corso, per la quale ripresa l’impegno lavorativo richiesto ai nostri Colleghi è destinato a restare altissimo.
L’Associazione ravvisa inoltre la necessità di riformare anche il Sistema di Emergenza 118, anch’esso nevralgico per la gestione delle emergenze che insorgono sul territorio, ma di fatto in quanto tali sono pre-ospedaliere e per nulla gestibili come fossero casi da medicina di famiglia, come anche in questo caso la Pandemia ha prepotentemente evidenziato anche ai non addetti ai lavori.
A questi nodi da sciogliere si aggiunge la necessità di riconoscere per legge che i Medici Anestesisti Rianimatori, quelli in pianta stabile nei Pronto Soccorso, nonché nel 118, svolgono un lavoro usurante, come solo la pandemia Covid ha dovuto purtroppo dimostrare a tutti, nonostante per tale riconoscimento basti pensare alle caratteristiche peculiari della loro professione in tali ambiti, che giocoforza – anche in tempi ‘normali’ – deve svolgersi con modalità, tempistiche, turnazioni di gran lunga più gravose rispetto a tutte le altre categorie mediche, con pesanti riverberi anche sul versante della responsabilità professionale.
Questione che dev’essere affrontata – sottolinea l’Associazione – molto più compiutamente rispetto a quanto in queste ore si discute nel merito dello scudo penale vaccinale “per poter finalmente ricondurre a breve la responsabilità penale medica, in Italia, a criteri analoghi a quelli vigenti nel resto del mondo civile, dove gli eventuali eventi avversi in sanità non sono trattati, a differenza di quanto avviene nel nostro Paese per ogni ipotesi di comportamento colposo, praticamente alla stregua di un delitto”.