Al Congresso Nazionale dell’Associazione Medici Endocrinologi (AME), che si apre oggi a Roma, gli specialisti faranno il punto sull’osteoporosi, una patologia in aumento che può essere contrastata seguendo alcuni semplici consigli
Roma, 20 ottobre 2022 – Le fratture dell’anca raddoppieranno quasi in tutto il mondo entro il 2050 e una delle cause principali è la fragilità delle ossa. A lanciare l’allarme è l’Associazione Medici Endocrinologi riunita al Congresso nazionale, che si apre oggi (20 ottobre) a Roma, nello stesso giorno in cui si celebra la Giornata Mondiale dell’osteoporosi. Nell’ambito del congresso AME, gli endocrinologi hanno previsto diverse sessioni dedicate proprio a questo tema.
Tra l’osteoporosi e l’aumento del rischio di fratture c’è uno stretto legame. Si stima infatti che la metà di tutte le fratture siano causate dall’osteoporosi, una malattia caratterizzata dalla perdita di massa ossea. Precisa Fabio Vescini, endocrinologo dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine: “Ogni 3 secondi, nel mondo, un uomo o una donna si fratturano il femore, il polso o una vertebra a causa di un’unica patologia, l’osteoporosi. Non è mai troppo presto per pensare alla salute delle ossa”.
Lo studio
Un gruppo di ricercatori di Hong Kong ha analizzato i dati raccolti da 20 database sanitari di 19 Paesi diversi dal 2005 al 2018. La maggior parte dei database copriva dal 90% al 100% della popolazione del rispettivo Paese. Tra gli elementi considerati, ci sono l’incidenza della frattura dell’anca, l’uso di un farmaco per l’osteoporosi entro 1 anno dalla frattura e la mortalità per tutte le cause entro 1 anno dalla frattura.
Ebbene, i ricercatori hanno così stimato che entro il 2050 i casi di frattura dell’anca raddoppieranno a livello globale rispetto al 2018, con un aumento maggiore negli uomini rispetto alle donne. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che la popolazione sta aumentando e invecchiando. Lo studio è stato presentato di recente in occasione del meeting annuale dell’American Society for Bone and Mineral Research.
La patologia
“L’osteoporosi è una malattia metabolica dello scheletro che colpisce un’ampia fetta della popolazione: in Italia si stima che ci siano circa 4,5 milioni persone affette da osteoporosi”, spiega Vescini. In percentuale sono le donne ad essere più colpite degli uomini: 3,5 milioni contro un milione.
“Nel corso della vita, per svolgere le sue funzioni, l’osso – dice Vescini – subisce un continuo processo di rimodellamento che ha lo scopo di rinnovare il tessuto osseo invecchiato; fino all’età di 25-30 anni, l’organismo costruisce progressivamente lo scheletro, fino a raggiungere il cosiddetto picco di massa ossea, il punto più alto che potremo raggiungere nell’arco della vita. Dopo un breve periodo di stallo comincia, a partire circa dai 35 anni, la perdita di massa ossea, in ragione dello 0,5-1% all’anno, indifferentemente nei maschi e nelle femmine. Queste ultime subiscono inoltre un’improvvisa accelerazione del processo, in conseguenza della menopausa, che può durare intorno a cinque anni. Appare evidente che un basso picco di massa ossea, insieme ad un aumento dei processi di rimodellamento potranno portare all’insorgenza precoce di osteoporosi”.
Come riconoscere i sintomi precoci
L’osteoporosi è essenzialmente una malattia silenziosa. Le persone spesso non sanno di avere le ossa indebolite fino a quando non si verificano fratture inaspettate e improvvise, specialmente a carico del femore, del polso e delle vertebre. “I segni di perdita ossea sono rari, per cui nella fase iniziale della malattia – spiega Vescini – si devono valutare i fattori di rischio, individuali e familiari e, se necessario, misurare la densità minerale ossea”.
Una volta che il processo di indebolimento scheletrico è in una fase avanzata, possono verificarsi segni e sintomi evidenti, che includono dolore nella parte bassa della schiena, perdita di altezza nel tempo, cambiamento di postura con tendenza a piegarsi in avanti e ossa che si fratturano più facilmente.
“La patologia è riconoscibile attraverso analisi strumentali come la densitometria ossea, che permette di valutare la densità minerale ossea ed esprimerla con un numero, ma anche attraverso radiografie mirate della colonna vertebrale che servono a scoprire precocemente le fratture vertebrali asintomatiche”, aggiunge Vescini.
Come prendersi cura delle ossa fin da piccoli
La raccomandazione principale è quella di seguire un corretto stile di vita che comprenda un’adeguata assunzione di calcio con la dieta, l’esposizione alla luce solare, il mantenimento di un peso corporeo nella norma (né in eccesso, né, soprattutto, in difetto), evitare il fumo e l’abuso di alcol, un’alimentazione varia ed equilibrata e, per le ragazze, una corretta regolarità mestruale.
“Tutto ciò serve a costruire uno scheletro sano. La forza delle nostre ossa durante la giovinezza influisce direttamente anche sulla loro forza quando invecchiamo – sottolinea l’esperto – Il corpo utilizza il calcio in diversi modi e, se non ne assumiamo abbastanza dalla nostra dieta, il nostro corpo inizia a estrarlo dalle ossa, rendendole più deboli”.
“Le migliori fonti di calcio sono i latticini – latte, yogurt, formaggio – ma si può anche ottenere calcio da opzioni non casearie come l’acqua ricca di minerali, mandorle, cereali fortificati, latte di mandorle o di soia fortificato. In definitiva, è necessario assumere da tre a quattro porzioni di cibi ricchi di calcio al giorno; nell’impossibilità di farlo è possibile anche ricorrere all’uso di integratori, che, tuttavia, è sempre meglio discutere con il proprio Medico”.
Le terapie farmacologiche per l’osteoporosi
“Avere una bassa massa ossea non rappresenta un immediato fattore di rischio per la frattura perché – specifica Vescini – non tutte le persone con ridotta densità ossea incorreranno in una frattura da fragilità. Le terapie farmacologiche, pertanto, devono essere prescritte solo a quei pazienti che presentano un elevato rischio di frattura”. Rischio che oggi può essere stimato incrociando una serie di specifici dati.
“Esistono degli algoritmi creati proprio a questo scopo – commenta lo specialista – Un calcolo che associa la densità minerale ossea alla valutazione dei fattori di rischio di frattura individuali, come la familiarità, il fumo, l’alcol, la concomitanza di patologie/farmaci osteopenizzanti. Dal risultato si otterrà una percentuale di rischio di frattura a 10 anni, che permetterà di classificare i pazienti in tre diverse categorie: coloro che necessitano di un trattamento immediato, quelli che possono procrastinare l’inizio di una terapia limitandosi solo a misure igienico-sanitarie e di alimentazione, e i pazienti che dovranno sottoporsi ad un controllo negli anni futuri”.
Diagnosticare precocemente un elevato rischio di frattura significa poter evitare la frattura stessa: “Esistono terapie con un’elevatissima efficacia antifratturativa. La parte del leone, tra i farmaci – prosegue Vescini – la fanno ancora i cosiddetti bifosfonati, da somministrare per via orale o iniettiva. Da circa 10 anni è stato commercializzato un anticorpo monoclonale molto valido. Da oltre 15 anni, inoltre, esiste anche un anabolizzante osseo, un farmaco particolare indicato per le fasce di popolazione con rischio di frattura molto elevato. Da un mese circa, anche in Italia, è prescrivibile un nuovo anticorpo monoclonale che associa ad una potentissima azione anabolizzante una buona efficacia anti-riassorbitiva; in pratica questo farmaco da un lato stimola la costruzione di osso nuovo e dall’altro riduce la distruzione ossea”, conclude l’esperto.