Cos’è, come si tratta e come si previene
Roma, 23 aprile 2024 – L’osteonecrosi dei mascellari (della mandibola e/o dell’osso mascellare superiore) è una condizione piuttosto rara, ma potenzialmente grave e ancora poco conosciuta dal pubblico, ma in parte anche dagli addetti ai lavori (se ne parla da appena 10-20 anni).
Ad attirare l’attenzione della comunità medica è il fatto che rappresenta una delle possibili complicanze dei farmaci utilizzati per bloccare il riassorbimento dell’osso, sia per una condizione di osteoporosi, ma anche per il trattamento di metastasi ossee (ad esempio nelle pazienti con tumore della mammella o in quelli con tumore della prostata); sono questi ultimi i pazienti più a rischio di sviluppare questa complicanza, perché trattati con i farmaci più potenti, ad elevato dosaggio e per prolungati periodi di tempo.
Delle ultime novità si è parlato in occasione del corso “Osteonecrosi dei mascellari farmaco-relata: prevenzione, diagnosi e trattamento”, organizzato al Gemelli dal prof. Carlo Lajolo, docente di Malattie Odontostomatologiche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma e Dirigente medico presso la UOC di Clinica Odontoiatrica di Fondazione Policlinico Gemelli, diretta dal prof. Massimo Cordaro.
“L’osteonecrosi dei mascellari è un evento avverso farmaco-relato – spiega il prof. Lajolo – che compare nei soggetti in trattamento con farmaci anti-riassorbitivi dell’osso e che consiste nella necrosi, cioè nella morte, di parte dell’osso dei mascellari e avviene esclusivamente a questo livello. E c’è un motivo. A questo livello infatti c’è una situazione anatomica unica; la barriera epiteliale della mucosa è interrotta dal passaggio dei denti (ma questa complicanza può avvenire anche nei pazienti edentuli) e questo è un ambiente fortemente settico, oltre che sottoposto a microtraumatismi che possono avvenire anche durante la semplice masticazione. Anche l’irrorazione della mandibola è di tipo terminale e questo può predisporre alla necrosi”.
Non si dispone di dati precisi sulla prevalenza di questa complicanza, ma si stima che possa riguardare meno di una persona su mille in trattamento per osteoporosi; nel caso dei pazienti metastatici invece, la prevalenza può arrivare al 1-2% (ma forse anche al 5-7%)”.
La comparsa di questo effetto indesiderato è facilitato da una serie di fattori quali il dosaggio dei farmaci anti-riassorbitivi, che varia a seconda delle indicazioni (più alto nel caso della patologia metastatica, molto più basso nell’osteoporosi).
“Naturalmente – afferma il prof. Lajolo – non è pensabile rinunciare all’utilizzo di queste terapie perché migliorano la sopravvivenza dei pazienti oncologici e proteggono le persone con osteoporosi dalle fratture; di certo però vanno gestiti con attenzione, conoscendone bene i possibili effetti indesiderati e possibilmente prevenirli”.
I farmaci più utilizzati nell’osteoporosi sono gli aminobifosfonati (utilizzati ad alto dosaggio anche nel mieloma multiplo), mentre contro le metastasi ossee un farmaco molto utilizzato è il denosumab (si impiega anche nell’osteoporosi ma a basso dosaggio), un anticorpo monoclonale contro il RANK ligand.
“Il rischio di osteonecrosi – spiega il prof. Lajolo – aumenta se si somministrano questi farmaci (in particolare il denosumab) ad alte dosi e con la durata del trattamento”. Altri fattori di rischio per la comparsa di osteonecrosi sono la presenza di comorbidità come patologie autoimmuni (es. artrite reumatoide), concomitante trattamento con cortisonici ad alto dosaggio, diabete.
Un altro importantissimo fattore di rischio per osteonecrosi è la presenza di infezioni locali come la presenza di parodontopatie, foci infiammatori preesistenti, cattiva igiene e scarse condizioni orali; anche interventi odontoiatrici invasivi eseguiti senza accurati protocolli preventivi possono innescare questo evento.
“Ecco perché – afferma il prof. Lajolo – il dentista deve fare un’accurata anamnesi farmacologica e i medici prescrittori di questi farmaci un’accurata anamnesi e richiedere un accurato screening odontoiatrico. Sarebbe utile, prima di iniziare queste terapie, richiedere una visita odontoiatrica al paziente, che va avviato poi ad un follow up stretto dal proprio dentista. Nel caso si renda necessario eseguire manovre odontoiatriche, una volta iniziate queste terapie, vanno seguiti appropriati protocolli preventivi (copertura antibiotica adeguata, utilizzo di anti-settici locali e tecniche chirurgiche particolarmente delicate e conservative dell’anatomia sottostante), come quelli riportati nelle linee guida della Società Italiana di Patologia e Medicina Orale (SIPMO) e della Società Italiana di Odontostomatologia e Chirurgia Maxillo-Facciale (SICMF)”.
Come si tratta l’osteonecrosi
Qualora, nonostante tutte queste precauzioni compaia un’osteonecrosi, è bene rivolgersi ad un centro di riferimento della SIMPO, come il Gemelli. “L’osteonecrosi è una patologia dalla quale si può guarire – rassicura il prof. Lajolo – ma richiede un trattamento complesso perché la zona nella quale si sviluppa è molto delicata e i pazienti che la sviluppano sono fragili. La terapia iniziale può essere medica, a base di antibiotici ed antisettici, ma nella maggior parte dei casi per arrivare ad una risoluzione è necessario intervenire chirurgicamente e consiste nella rimozione dell’osso necrotico (e dei denti corrispondenti a quel segmento osseo, che in genere ha un’estensione di 3-4 cm) che viene effettuata in ambulatorio, in anestesia locale”.
“Tra gli esami preliminari è necessario eseguire una TAC per valutare con esattezza l’estensione del problema, che va definito però anche attraverso criteri clinici – prosegue Lajolo – Dopo l’intervento, si passa ad una riabilitazione protesica, confezionando una protesi, in genere tradizionale (mobile, fissa o combinata); difficilmente è possibile poi riabilitare questi pazienti con impianti, che preferiamo evitare in questi pazienti che hanno già sviluppato una osteonecrosi. Al Gemelli trattiamo almeno 60 casi all’anno, prevalentemente a carico di pazienti oncologici; gli interventi sono coperti dal SSN, mentre la protesi è esclusa. La gestione di questi pazienti spesso richiede un lavoro di equipe visto la complessità dell’anatomia e delle funzioni dell’area antomica da curare e riabilitare”.
L’elenco dei centri di riferimento è sul sito SIPMO; sono distribuiti in maniera omogenea in tutta Italia. Il Gemelli, essendo un grande hub oncologico, riceve tante richieste per i videat pre-inizio di terapia, per gli interventi e per il follow up.