Roma, 9 novembre 2021 – Inizia in modo asintomatico, con i classici ‘doloretti’ che causano rigidità e perdita di funzionalità, spesso confusi con l’avanzare dell’età. Sono segnali a cui non andrebbero fatte spallucce, ma portati immediatamente all’attenzione del medico di fiducia. Perché l’osteoartrosi, la più comune e diffusa di tutte le patologie articolari, può essere trattata.
Sono circa quattro milioni gli italiani che ne soffrono, ossia il 12% della popolazione adulta. Si tratta di una malattia reumatologica cronica che causa danni alla cartilagine e ai tessuti circostanti, caratterizzata da una progressiva degenerazione di tutta l’articolazione che ne è interessata.
Quando compare? “L’osteoartrosi è una patologia che interessa, in particolar modo, le persone sopra i 60 anni. Si tratta di una patologia destinata a diventare predominante nel prossimo futuro, in quanto segue l’invecchiamento della popolazione. Per questo è importante che la ricerca si concentri su questa problematica, per dare delle risposte che permettano a chi è affetto da osteoartrosi di migliorare la qualità della loro vita”, sottolinea Gilda Sandri, reumatologa presso il Policlinico di Modena ed ex Vicepresidente CReI.
Come la si tratta? “Ci sono varie linee di trattamento, anche in base alla localizzazione della patologia. Quando l’osteoartrosi interessa le articolazioni degli arti inferiori o delle mani, possiamo parlare di terapie che prevedono l’utilizzo di farmaci a protezione della cartilagine, così come di analgesici per ridurre il dolore, e la fisiokinesiterapia. Ci aspettiamo, comunque, importanti novità terapeutiche per il futuro”, continua Gilda Sandri.
Come si distingue un inizio di osteoartrosi dal classico ‘doloretto’? “È fondamentale che il paziente di fronte al primo campanello di allarme, cioè di fronte a una manifestazione di dolore vada dal medico per un controllo. Il dolore va inquadrato, sia dal punto di vista clinico che radiologico. È quindi importante, in presenza di una sintomatologia dolorosa, soprattutto se diffusa in più articolazioni, che il medico indirizzi il paziente da un reumatologo. Sarà poi quest’ultimo a effettuare una diagnosi di malattia ed eventualmente, a individuarne lo stadio”, conclude la dott.ssa Sandri.
“Come in tutte le malattie reumatiche sarebbe opportuno individuare la malattia nella fase precoce e trattarla nelle prime fasi dove è più facile impedire la progressione del danno strutturale. Occorre non sottovalutare i primi sintomi e avvisaglie, indice che qualcosa sta cambiando nell’articolazione. Quando si incomincia ad avvertire i primi disagi nello svolgere le normali attività quotidiane, come salire le scale e correre per prendere l’autobus”, sottolinea il prof. Migliore, Reumatologia Ospedale San Pietro, Fatebenefratelli, Roma e neoeletto Vicepresidente CReI.
“Stessa situazione accade anche nei giovani, parliamo di 40enni, abituati a fare sport e che iniziano ad avere i primi sintomi che limitano i movimenti articolari. Ho condotto un panel internazionale per creare un questionario che indaga sulla qualità dei primi sintomi per individuare questa fase e monitorare eventuali interventi farmacologici e non, come, ad esempio, la riduzione del peso, per controllare che la malattia non si sviluppi”, continua il prof. Migliore.
C’è una maggiore incidenza negli uomini o nelle donne? “Per quanto riguarda la fascia di età inferiore ai 50 anni, la prevalenza riguarda gli uomini, a causa di una maggiore intensità nell’attività fisica e sportiva. Mentre, sopra i 50 anni, l’osteoartrosi è più diffusa nelle donne”, conclude il prof. Migliore.
A che punto siamo con la terapia rigenerativa? “Nel trattamento dell’osteoartrosi, attualmente esistono delle terapie di tipo infiltrative che hanno la capacità di ridurre la sintomatologia, o, comunque, migliorare la condizione articolare del paziente. Anche se siamo ancora lontani dal poter affermare che un trattamento rigenerativo comporti un pieno recupero e una completa ricostruzione della cartilagine del paziente”, dichiara il dott. Alessandro Di Martino, ortopedico presso la II clinica e Ricercatore presso il Laboratorio ATRc (Applied and Translational Research center) del Rizzoli.
Cosa ci riserverà il futuro, nel campo dell’osteoartrosi? “Adesso si stanno affacciando nuove terapie infiltrative che speriamo con il tempo possano portare a una reale rigenerazione del tessuto cartilagineo. Stiamo utilizzando i fattori di crescita di derivazione piastrinica (PRP), così come i trattamenti infiltrativi con cellule mesenchimali di derivazione midollare oppure di derivazione adiposa. Sono queste le ultime frontiere che già permettono di apportare dei cambiamenti a livello clinico in termini di miglioramento del dolore e della funzionalità articolare”, conclude il dott. Di Martino.