Roma, 2 dicembre 2015 – Con un emendamento alla Legge di Stabilità 2016 alcuni deputati del PD in prevalenza pugliesi, primo firmatario on. Capone, propongono di spostare al 25 novembre 2016 la data di applicazione anche in Italia della Direttiva europea sui tempi massimi di lavoro e sui riposi.
Non sono bastati 22 anni per entrare in Europa essendo la prima direttiva sull’orario di lavoro, la numero 104/CE, del 1993. Non sono bastate alle Aziende sanitarie le deroghe del Governo Prodi prima (Legge Finanziaria 2008) e del Governo Berlusconi poi (Legge 133/2008) per mettere a norma tutta la organizzazione del lavoro nelle strutture ospedaliere. La deregulation dell’orario di lavoro è continuata dal 2008 ad oggi in modo irrefrenabile e selvaggio scaricando su chi lavora in prima linea ed eroga le prestazioni ai cittadini il taglio al finanziamento del fondo sanitario nazionale imposto dalla crisi economica.
Blocco del turn over, gravidanze e malattie prolungate non sostituite, precarizzazione dei rapporti di lavoro rappresentano il tratto costante della deriva economicistica che ha caratterizzato le politiche del personale delle aziende sanitarie. Fino a mettere in discussione, soprattutto nelle regioni in piano di rientro, l’esigibilità stessa del diritto alla salute. Ora viene chiesta un’ulteriore proroga di un anno, tanto illegittima quanto inutile se non si cambia verso anche nelle politiche sanitarie.
Verosimilmente non sono nemmeno chiari ai deputati del PD i rischi economici a cui va incontro il nostro Paese ritardando l’applicazione della Direttiva europea.
Il deferimento alla Corte di Giustizia avviato dalla Commissione europea ed attualmente solo sospeso, verrebbe certamente portato a termine. La Corte di Bruxelles potrebbe comminare multe salatissime. In base alle esperienze precedenti, arrivare a sanzioni di circa 250.000 € al giorno è altamente probabile. Si tratta quindi di circa 90 milioni di € per ogni anno di ritardo.
Questa è solo una parte, perfino minore, del rischio. In base a due sentenze della Corte di Giustizia della Comunità europea del 2010 (cosiddette Fuß 1 e 2) ogni lavoratore che abbia subito un danno causato dalla violazione del diritto dell’Unione ha diritto ad un risarcimento. E la violazione per i medici e dirigenti sanitari dipendenti del SSN data dal 2008. Si può prospettare che circa 50.000 medici ospedalieri italiani potrebbero rivolgersi ad un giudice italiano per chiedere un risarcimento per lo stress psico-fisico derivante dal prolungato superamento del limite massimo di orario di lavoro settimanale e per i mancati riposi. L’esborso per l’erario pubblico potrebbe collocarsi tra 500 milioni e un miliardo di €.
È da chiedersi se non sia meglio utilizzare questa importante massa di risorse economiche per impostare una nuova politica a salvaguardia del nostro SSN.
Il recepimento della Direttiva europea per garantire servizi sanitari efficienti e sicuri ai cittadini, rispettando il diritto di tutti gli operatori del settore ad una organizzazione del lavoro capace di tutelare anche la loro salute, si potrà ottenere solo rispettando tre condizioni: procedere ad una riorganizzazione del lavoro nelle strutture ospedaliere; stabilizzare tutto il precariato; sbloccare il turn over per assumere almeno 6.000 medici necessari per coprire 10 milioni di ore di extra orario che ogni anno vengono svolte, oltre l’orario standard e lo straordinario retribuito, per garantire il diritto dei cittadini di accesso alle cure. Senza dimenticare che lo sblocco del turn over è urgente anche per coprire i circa 20.000 pensionamenti di medici e dirigenti sanitari che avremo nel triennio 2016-2018 per l’esaurirsi dello “scalone” previdenziale dovuto alla Fornero.
Non abbiamo bisogno di prorogare una lesione ai diritti che discendono dalla legislazione comunitaria, ma di impostare un piano triennale per la “buona sanità” che tenga insieme i diritti di chi necessita di cure con quelli di chi quelle cure è tenuto ad erogarle.
fonte: ufficio stampa