In un’epoca in cui il Covid-19 ha impattato pesantemente sui pazienti oncologici e in cui si assiste al “sorpasso” delle patologie tumorali nei confronti di quelle cardiache, un’oncologia funzionante sul piano organizzativo diventa strategica per rafforzare i risultati ottenuti su quello clinico. Va però completamente ripensata, anche e soprattutto per risparmiare tempo, fattore fondamentale per queste patologie. Bisogna quindi ampliare il numero dei posti nelle scuole di specializzazione e potenziare le reti oncologiche, omogeneizzandole sull’intero territorio nazionale. Creare un sistema di medicina territoriale che consenta agli ospedali di concentrarsi sulla gestione dei casi acuti. Soprattutto digitalizzare il sistema. Dagli oncologi del Cipomo, riuniti a Cagliari in occasione del loro XXVI Congresso nazionale, arriva l’invito a fare presto: “Gli obiettivi del PNRR sembrano riuscire ad intercettare le esigenze per una riorganizzazione dell’oncologia, non perdiamo questa opportunità”
Cagliari, 20 maggio 2022 – Occorre riorganizzare completamente l’oncologia se si vuole veramente trarre il massimo dai nuovi orizzonti terapeutici come quelli dell’oncologia molecolare. Come? Aumentando i posti nelle scuole di specializzazione, potenziando le reti oncologiche e rendendole omogenee sull’intero territorio nazionale, rafforzando la medicina territoriale per migliorare la risposta ai bisogni del malato e ridurre il carico attuale che pesa sul sistema ospedaliero, puntando sulla digitalizzazione. Obiettivi raggiungibili anche grazie alle opportunità messe in campo dal PNRR.
È questa la roadmap tracciata dal CIPOMO, il Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri riunito a Cagliari dal 19 al 21 maggio per il XXVI Congresso nazionale dal titolo emblematico: “Dalle ceneri del Covid una nuova Fenice: l’oncologia che sarà, l’oncologia che vorremmo”.
Gli scenari. Gli ultimi due anni hanno impattato pesantemente su una organizzazione già fortemente penalizzata dal Decreto Balduzzi che aveva drasticamente ridotto lo spazio riservato all’oncologia negli ospedali, soprattutto in alcune Regioni. Inoltre, stiamo assistendo a un “sorpasso” delle patologie tumorali nei confronti di quelle cardiache.
Come emerge da un’indagine pubblicata su The Lancet ogni anno circa 18 milioni di decessi nel mondo sono dovuti a cause cardiovascolari e 9-10 a quelle tumorali, ma nei Paesi ricchi gli “equilibri” stanno cambiando a favore dei tumori. Per cui se un simile scenario si diffonderà nei singoli Stati, entro 20 anni il cancro potrebbe diventare la prima causa di morte al mondo.
Nel nostro Paese sono stati registrati 46 milioni di visite specialistiche e accertamenti diagnostici e 3 milioni di screening oncologici in meno nel 2020 rispetto all’anno precedente. Sta inoltre aumentando il numero di tumori in stato avanzato: secondo l’Osservatorio Nazionale Screening si registrano in media 5 mesi di ritardo per lo screening del tumore del collo dell’utero, per quello del tumore della mammella e per lo screening colorettale. E ancora, sono ‘sfuggiti’ ai controlli, nel 2020 rispetto al 2019,in termini di mancate diagnosi oltre 3.300 carcinomi mammari, 2.782 lesioni cervicali CIN2+, quasi 1.300 carcinomi colorettali e oltre 7.400 adenomi avanzati.
Tutto questo contrasta fortemente con i continui progressi dell’oncologia, soprattutto grazie alle nuove frontiere aperte dalla diagnosi molecolare: “La ricerca oggi riesce a dare risposte rapidamente applicabili alla pratica clinica – afferma Luigi Cavanna, Presidente CIPOMO e del Congresso – la diagnosi molecolare, sempre più precisa, permette di comprendere meglio la biologia dei tumori e quindi di indirizzare in modo più proficuo la terapia. Dalla profilazione genomica del tumore all’immunoterapia, nuove frontiere stanno portando l’oncologia sulla soglia di cambiamenti rivoluzionari. Ma tutto questo necessita di un forte supporto organizzativo e gestionale: l’attuale frammentarietà rischia di vanificare i continui progressi che invece si realizzano in campo medico”.
Le proposte CIPOMO per ripensare l’oncologia. Occorre quindi destinare in modo consapevole le risorse del PNRR, perché l’organizzazione dell’oncologia va interamente ripensata. Innanzitutto va ampliato il numero di posti nelle scuole di specializzazione, spiega il presidente Cavanna “perché oggi soffriamo una grave carenza di oncologi”.
Bisogna poi potenziare le reti oncologiche “per creare un ‘tessuto connettivo’ che colleghi agevolmente tutte le realtà oncologiche distribuite sul territorio, anche perché diverse strutture oncologiche nel tempo sono state chiuse o ridimensionate in varie Regioni. È inoltre fondamentale diffondere la ricerca clinica in ogni struttura sia ospedaliera che territoriale ove vengono curati i malati oncologici. Si dice da tempo che dove si fa ricerca si cura meglio e tutti i cittadini hanno il diritto di essere curati al meglio”.
Non solo: per realizzare una definitiva inversione di tendenza bisogna potenziare, in alcuni casi creare ex novo, l’oncologia sul territorio con servizi che integrino quelli previsti dal sistema ospedaliero: “Attualmente – prosegue Cavanna – tutti i pazienti oncologici, con bisogni clinico/terapeutico molto diversi tra loro, sono costretti a fare riferimento esclusivamente all’oncologia dell’ospedale, per cui le strutture ospedaliere sono sovraccariche e la risposta rischia di non essere sempre adeguata alle esigenze del singolo paziente, esigenze che stanno cambiando nel tempo”.
Oggi infatti il paziente oncologico si rivolge all’ospedale per tutto: visite, terapie e follow up, e diverse di queste prestazioni potrebbero essere realizzate in strutture territoriali prossime al domicilio del paziente: “Il potenziamento delle attività territoriali – prosegue il presidente Cipomo – ridurrebbe il carico che attualmente grava sugli ospedali con miglioramento della qualità di vita del malato, del caregiver, meno spese e minor perdita di tempo. Attività integrate di cure oncologiche, controlli o supporti come lo screening, la psico-oncologia, la riabilitazione, il supporto nutrizionale – solo per citarne alcune – possono infatti essere realizzate in modo molto più appropriato in ambito territoriale con grande beneficio per il paziente che diventerebbe più reattivo e motivato vedendosi curato vicino a casa, senza dover perdere ore per viaggi e attese per visite”.
Per questo la rete oncologica in prossimità del proprio domicilio va quindi ristrutturata in modo capillare su tutto il territorio. Occorrono risorse ad hoc con una gestione però coordinata dal Dipartimento oncologico per creare una efficace interazione e integrazione ospedale-territorio in un continuum di cure: senza dicotomia, inutili competizioni fra ospedale e territorio.
“È il malato che deve essere al centro con i suoi bisogni sanitari e non solo, utilizzando anche le nuove tecnologie. Un punto ci tengo a sottolineare – conclude Cavanna – può sembrare una contraddizione la carenza di oncologi ed il loro spostamento dall’ospedale al territorio. Risposta semplice e pratica: quando un medico dell’unità operativa che dirigo si sposta per prestare servizio in strutture di prossimità territoriale (ospedali delle province, Casa della Salute) cura circa 15-20 pazienti/die che non vengono in ospedale, di conseguenza i conti tornano, e devo dire che la soddisfazione è anche del singolo oncologo oltre che dei pazienti”.
La digitalizzazione è fondamentale in questo “scatto in avanti” dell’oncologia. “Il fascicolo sanitario elettronico, la telemedicina, il collegamento digitale tra strutture sono essenziali per una gestione ottimale del paziente – sottolinea Giuseppina Sarobba, Presidente del Congresso – perché si velocizzano le tempistiche per individuare le strutture territoriali più adatte ad una determinata patologia. Inoltre la digitalizzazione e la messa in rete di operatori e strutture favorirebbe anche l’organizzazione interna delle aziende, sempre con conseguenti benefici per i pazienti. Per questo il PNRR può rivelarsi una risorsa importante”.
Ma senza le risorse umane non si va da nessuna parte: “Negli ultimi 3 anni il Servizio sanitario nazionale – aggiunge la Presidente Sarobba – ha perso quasi 21mila medici specialisti. Dal 2019 al 2021 hanno abbandonato l’ospedale 8mila camici bianchi per dimissioni volontarie e scadenza del contratto a tempo determinato e 12.645 per pensionamenti, decessi e invalidità al 100%”.
Le cause che portano a questa drastica decisione sono le più svariate: dal ‘burnout’ alla ricerca di un posto che preservi il proprio benessere, al desiderio di poter avere la possibilità di gestire le giornate di lavoro difendendo il ‘work-life balance’.
Cosa cercano quindi i medici? “Cercano orari più flessibili, maggiore autonomia professionale, minore burocrazia – prosegue Sarobba – cercano un sistema che valorizzi le loro competenze, un lavoro che permetta di dedicare più tempo ai pazienti. E mentre il PNNR mette in campo importanti investimenti per l’edilizia sanitaria e la digitalizzazione, niente è previsto per le risorse umane. Nuove sfide, che impongono un cambiamento di paradigma, chiamano in causa chi riveste posizioni apicali”.
Occorre infine guardare all’oncologia con una diversa ottica in quanto è la più trasversale delle discipline mediche e accompagna il paziente dalla diagnosi al percorso curativo che porta verso la guarigione o al fine vita, e ‘impiegare’ l’oncologo in maniera funzionale alla sua mission.
“L’oncologo – concludono i due Presidenti – si confronta quotidianamente con il chirurgo, con il radiologo, con l’anatomopatologo, il biologo molecolare, lo specialista pneumologo, lo psicologo, il nutrizionista, lo psichiatra, ecc.; parliamo di una multidisciplinarietà costante che non si riscontra in nessuna altra branca. Nell’ambito dell’intera riorganizzazione dell’oncologia, bisogna poi considerare che la maggior parte delle risorse umane sono principalmente concentrate sulle attività diurne, sui pazienti ambulatoriali, non ricoverati. Ad ogni ambulatorio corrisponde un medico oncologo, sarebbe quindi un errore strategico privare l’attività oncologica del medico specialista per utilizzarlo per le guardie notturne che non aggiungono ma sottraggono ai pazienti competenza e know-how”.
“Lo stesso – concludono – accade anche quando li si destina ad altre attività non strettamente legate alla specializzazione, come ad esempio le vaccinazioni. Il paziente oncologico ha bisogno di una presenza costante perché la patologia oncologica, è importante ribadirlo, richiede una presa in carico che dura per molto tempo e per tanti pazienti, per tutta la vita”.