In 15 anni cresce del 56% la sua produzione nel mondo e conquista Cina e Africa subsahariana.
A Expo il World Pasta Day & Congress 2015 (25-27 ottobre) per raccontare i pregi nutrizionali, la sostenibilità e la capacità del prodotto, presente in quasi 200 Paesi, di far parte della soluzione delle tante sfide lanciate dall’esposizione
24 ottobre 2015 – Un piatto di pasta per nutrire il pianeta in modo sostenibile. Con questo auspicio si apre a Expo2015 il World Pasta Day & Congress 2015 (25-27 ottobre), la “festa della pasta” che torna nel Paese che le ha dato i natali per riflettere sul ruolo di questo alimento nella lotta a malnutrizione e obesità. E una sfida globale la pasta l’ha già vinta: 15 anni fa nel mondo se ne producevano 9,3 milioni di tonnellate, contro 14,5 milioni del 2014 (+56%). Nello stesso periodo i Paesi che ne producono oltre mille tonnellate l’anno sono passati da 27 a 47 (+74%). E sono 52 (erano 29 15 anni fa, + 79%) i Paesi in cui si consuma almeno 1 kg di pasta pro capite all’anno.
La Giornata mondiale della Pasta, che si festeggia ogni anno il 25 ottobre, si svolgerà quest’anno a Milano, nell’ideale abbraccio di Expo 2015, dove IPO (International Pasta Organisation) e AIDEPI (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane) hanno convocato oltre 300 tra produttori, scienziati, opinion leader, economisti, Istituzioni e media di tutto il mondo per celebrare questo alimento e valorizzare i suoi pregi nutrizionali e la sostenibilità del suo modello produttivo. Inoltre, il 26 e il 27 ottobre, si terranno i lavori congressuali del V° World Pasta Congress, che culminerà in un summit internazionale di nutrizionisti che si confronteranno sulle qualità nutrizionali del piatto simbolo dell’Italia e sarà ospitato da HOST 2015 (Fiera Milano), manifestazione fieristica leader nel settore Ho.Re.Ca., foodservice, retail, GDo e hotellerie.
Diversi gli interventi che animeranno il World Pasta Day 2015, reso ancor più speciale dal Patrocinio della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO che ne conferma l’alto valore sul piano scientifico, educativo e culturale. A raccontare passato, presente e futuro della pasta interverranno, tra gli altri, due food celebrities del calibro di Massimo Bottura, che racconterà la sua visione della pasta tra tradizione e modernità e Bruno Serato, chef americano votato dalla CNN eroe dell’anno per aver sfamato 1.200 bambini indigenti con un pasto nutrizionalmente equilibrato a base di pasta e verdure fresche, 365 giorni all’anno per 10 anni.
Paolo Barilla: “La pasta protagonista in un futuro sempre più globale”
Quest’anno, la pasta farà suoi i temi centrali dell’Expo, “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, come spiega Paolo Barilla, Presidente di AIDEPI. “Viviamo le contraddizioni di dover sfamare un pianeta sospeso tra fame e obesità. La Pasta non può mancare nell’Esposizione universale dedicata all’alimentazione e alla food safety. Non solo è il piatto più ‘glocal’ del made in Italy alimentare, ma ha tutte le caratteristiche per rispondere alle complessità e all’incertezza di questo scenario alimentare. Abbiamo l’opportunità di raccontare davanti a tutto il mondo come questo alimento sano e naturale, consumato ormai in tutti i continenti, sia una scelta alimentare nutrizionalmente valida ed economicamente accessibile per tutte le categorie sociali. E il suo modello produttivo è efficiente anche dal punto di vista della gestione delle risorse naturali, e pertanto con un contenuto impatto ambientale – aggiunge Barilla – Per esempio, il suo packaging permette un recupero al 100% dei materiali d’imballaggio e la sua impronta ecologica è minima: 1 m² globale per una porzione da 80 grammi. Per tutte queste ragioni, la pasta supera ogni frontiera e merita ulteriore sviluppo, conoscenza e diffusione”.
Riccardo Felicetti: “In 10 anni riduciamo lo spreco domestico di pasta del 50%”
Sul tema della sostenibilità della pasta gli fa eco Riccardo Felicetti, Presidente dell’International Pasta Organisation, vero e proprio “Onu della Pasta”, che dal palcoscenico del World Pasta Day lancia un appello ai pasta lovers di tutto il mondo: “La pasta in Italia rappresenta appena il 3,5% in valore sul totale dello spreco domestico, ma si può fare ancora meglio. Per questo facciamo nostro l’obiettivo che si è posto il Parlamento europeo di ridurre del 50% entro il 2025 la quantità di cibo gettato nella spazzatura. Per la pasta significa passare da circa 6 chilogrammi annui a famiglia a meno di 3… o, possibilmente, a zero. Non tutti sanno – spiega Felicetti – che la fase casalinga è quella che genera ben il 38% del totale dell’impronta carbonica. Basterebbe che tutti adottassimo alcuni piccoli accorgimenti nella sua preparazione per rendere un piatto di pasta, ancora più buono anche per l’ambiente”.
Alcuni suggerimenti dell’IPO per una pasta ecologica: utilizzare solo la quantità di acqua necessaria, mettere il coperchio sulla pentola per accelerare l’ebollizione e aggiungere il sale dopo che l’acqua ha iniziato a bollire. Anche l’acqua di cottura della pasta può essere riutilizzata, per esempio per annaffiare le piante in balcone.
Un mondo di pasta lovers: Italia, Tunisia e Venezuela guidano la classifica dei consumi
È di oltre 6,5 milioni di chilometri infatti la lunghezza del “serpentone” che otterremmo se mettessimo in fila le confezioni di spaghetti, fusilli e paccheri prodotte in tutto il mondo nel 2014. Sufficiente a fare il giro della terra per circa 160 volte. L’Italia guida, e non poteva essere altrimenti, la speciale classifica dei consumatori delle 14,5 milioni di tonnellate di pasta prodotte nel 2014, con 25 chili pro-capite annui. La Tunisia, seconda, ne consuma 16 chili a testa, davanti a Venezuela (12 kg) e Grecia (11,2 kg). Più staccato un “gruppone” di Paesi il cui consumo pro capite si attesta tra gli 8 e i 9 chili, nel quale non mancano sorprese: gli Usa sono al settimo posto con 8,8 kg, mentre i pasta lovers asiatici sono guidati da Iran (8,5kg) e Turchia (7,5), ma il “balzo” più interessante è stato realizzato dall’Argentina, che con 9,1 kg pro capite è passata in 4 anni dal dodicesimo al sesto posto di questa speciale classifica. E che dire della Germania, dove il consumo di spaghetti è salito dai 3,5 kg pro capite del 1972 ai 5,4 del 1997 fino agli 8,5 kg del 2014.
L’atlante dell’export di pasta italiana: Germania leader, bene gli USA, boom di Cina e paesi africani
Con quasi 3,5 milioni di tonnellate prodotte nel 2014, l’Italia è il leader del mercato mondiale della pasta, tanto che un piatto di pasta su 4 (24%) mangiato nel mondo viene prodotto dai nostri pastifici, addirittura 7 su 10 di quelli consumati in Europa. In 15 anni l’export di pasta italiana è cresciuto complessivamente di circa il 50%, +3,6% nel 2014 rispetto al 2013. Oggi esportiamo il 57% della nostra produzione nazionale – circa 2 milioni di tonnellate per un controvalore di 2 miliardi di euro – contro il 54% di 5 anni fa, il 48% del 2000… e il 5% del 1955. E quota 60% non è così lontana, anche se già ci sono pastai italiani che esportano oltre il 90% della produzione. Senza contare che la pasta fa anche da volano al consumo di prodotti tipici del primo piatto all’italiana come pomodoro, olio e formaggio. Che le aziende cominciano ad esportare con il proprio marchio, divenendo di fatto delle autentiche promotrici della Dieta Mediterranea nel mondo.
Nel 2014 la Germania si conferma il principale mercato per gradimento della pasta tricolore (oltre 360mila tonnellate e un’incidenza pari al 18,3% del totale), seguita Regno Unito e Francia, per entrambe 278mila tonnellate e 14,1% del totale. Al di fuori dell’Europa, sono gli Usa il primo sbocco, con 151 mila tonnellate e un peso del 7,7% in volume e del 9,5% in valore, davanti al Giappone (3,8% in volume). Questi “fantastici cinque” sono i mercati più consolidati per la pasta italiana, pesando più della metà (58%) sulla torta del nostro export. Analogamente, il mercato europeo assorbe il 73,7% della domanda (il 66,8% considerando i soli Paesi UE), davanti alle Americhe (11,2%) e all’Asia (10,9%). Per questi continenti, il 2014 ha registrato un tasso di crescita positivo e uniforme attorno al 4 per cento in volume.
In crescita gli italian pasta lovers anche in Paesi emergenti, dove la voglia di pasta va oltre l’ostacolo di diverse culture gastronomiche: nei Paesi BRICS (+11,2% in volume nel 2014), con Russia (+11,5%), India (+15,4%) e, soprattutto, la Cina (+37,9%) a trainare la passione per la pasta e, più in generale, per tutto il food italiano.
Nei primi 6 mesi del 2015, i mercati più ricettivi alla pasta italiana sono stati: nelle Americhe il Canada (+8,4%), in Asia Arabia Saudita (+65,1%) e l’estremo oriente con Cina (+23,1%), Taiwan (+15,4%) e Thailandia (+12,9%), mentre il boom di Sud Africa (+33,2%), Kenya (+40,8%) e, soprattutto, Tanzania (+295,8%) conferma che l’Africa subsahariana rappresenta la nuova frontiera per la pasta globale e laboratorio per mostrare come dalla pasta possa arrivare una risposta importante a fame, carestie e malnutrizione.
Una nuova esigenza: creare nuovi prodotti adatti alle culture di paesi “lontani”
In un panorama di 188 Paesi importatori di pasta italiana (erano 140 nel 1991, +34%), la pasta mostra la sua adattabilità a stili alimentari e culture gastronomiche eterogenei. Tra le tendenze globali degli ultimi anni cavalcate dall’industria della pasta, la diffusione di formati “maxi” tipicamente italiani, come paccheri, conchiglioni & co nei mercati più maturi; la sperimentazione di paste speciali con impasti arricchiti di minerali, vitamine o “superfoods” (bietola rossa, rosmarino, fagioli, farina di canapa, ecc.), la pasta a rapida cottura, più ricca d’acqua rispetto alla pasta comune e pronta in 4 minuti. E prodotti pronti già confezionati con il loro condimento, da cuocere nel wok (per conquistare la Cina) o “risottati” in pentola, o in pentola a pressione, per gli americani che non amano utilizzare due recipienti per bollire la pasta e preparare il sugo. Più trasversale la richiesta di pasta gluten free di qualità.
Diete low-carb: solo il 2% degli italiani le ha provate. E negli USA il 42% le abbandona perché non sa rinunciare alla pasta
Sembra un paradosso, ma anche in Italia la pasta è sotto l’attacco delle diete iperproteiche (Zona, Dukan, Paleolitica, ecc.), che da oltre 30 anni promettono dimagrimenti “lampo”, demonizzando carboidrati e tutto ciò che deriva da grano e cereali. Fortuna che, secondo la ricerca Doxa/AIDEPI dal titolo “Diete low-carb: cosa ne pensano gli italiani”, su 1000 casi rappresentativi della popolazione italiana, si scopre che soltanto il 2% dei nostri connazionali ha dichiarato di averne seguita una e la dieta ideale resta, per il 72% degli italiani, quella Mediterranea, basata sui carboidrati di pane e pasta. Se queste diete non fanno breccia in Italia è perché il 70% della popolazione le considera “un controsenso nel Paese della Dieta Mediterranea”, tanto che il 57% è convinto che non le seguirà mai. Per il 53% degli italiani, infatti, è impossibile rinunciare alla pasta e al pane (45%). E per il 90% degli italiani la pasta non solo è buona, ma fa anche bene alla salute.
Un altro elemento incoraggiante arriva anche dagli USA, patria della moda iperproteica. Dove secondo un recente studio della National Pasta Association, il 42% degli americani che ha tentato una dieta low-carb l’ha abbandonata perché non riusciva a rinunciare alla pasta.
Pasta global anche in Italia, ormai la consuma l’83% dei “nuovi italiani” (+5% in 7 anni)
Chi invece fa bandiera dell’apprezzamento per la pasta italiana è il pezzo di mondo che troviamo a casa nostra. Il consumo di pasta dei nuovi italiani rappresenta infatti l’altra faccia della medaglia della dimensione globale di questo alimento. Secondo l’ultimo Osservatorio Immigrati Doxa/Etnocom, nel 2007 gli stranieri regolarmente residenti nel nostro paese che apprezzavano il piatto simbolo dell’eccellenza della cucina italiana erano circa 2 milioni e 400 mila. Saliti, nel giro di meno di un decennio, a oltre 4 milioni e mezzo di persone, in pratica l’83% dei cosiddetti “nuovi italiani”. E se in 20 anni i consumi pro capite hanno tenuto, è anche grazie all’apprezzamento crescente di una fetta della popolazione pari oggi a circa il 10% del totale, che arriverà a 10 milioni di persone nel 2050. Una vera e propria assicurazione sul futuro di questo alimento.
fonte: ufficio stampa