Nuovo studio sulla mega inondazione che ridisegnò il Mediterraneo 5 milioni di anni fa

Un team di ricerca multidisciplinare ha ricostruito la dinamica della Mega-Alluvione Zancleana che, 5.33 milioni di anni fa, fece riversare nel bacino del Mediterraneo milioni di metri cubi di acqua oceanica in pochissimo tempo, cambiando per sempre il paesaggio

Sistema di solchi e creste lasciato sul paesaggio dal passaggio della mega-alluvione Zancleana

Roma, 27 gennaio 2025 – Circa 5 milioni di anni fa il Mar Mediterraneo fu attraversato dal più cataclismico “tsunami” di tutti i tempi, la cosiddetta “Mega-Alluvione Zancleana”. È quanto emerge da un nuovo studio condotto da un team internazionale di studiosi, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Communications Earth & Environment di ‘Nature’, cui hanno preso parte – tra gli altri – l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e l’Università di Catania.

Come già ampiamente dimostrato, tra 5.97 e 5.33 milioni di anni fa il bacino del Mediterraneo fu teatro del più impressionante evento geologico-ambientale avvenuto durante il Neogene, la cosiddetta “Crisi di salinità del Messiniano”: a seguito di un sollevamento generale dell’area dell’attuale Stretto di Gibilterra, il Mare Nostrum perse la sua connessione con l’Oceano Atlantico divenendo un bacino isolato e, in un tempo geologicamente breve (circa 600 mila anni), si prosciugò quasi del tutto.

Ciò che rimase del Mediterraneo furono alcuni bacini ipersalini nei quali precipitarono, dalla colonna d’acqua in evaporazione, enormi quantità di sale e gesso, rocce oggi molto diffuse nella Sicilia centro-meridionale. L’area mediterranea, quindi, doveva apparire come una enorme distesa desertica salata, condizione che impedì a numerose specie marine di sopravvivere, segnando la loro estinzione.

Il ritorno alle condizioni marine attuali del Mediterraneo ha alimentato per più di 50 anni un’accesa diatriba scientifica tra i sostenitori di un riempimento lento (avvenuto in circa 10 mila anni) da un lato, e i sostenitori di un riempimento rapido e di natura catastrofica dall’altro.

Alcuni studi avevano già ipotizzato, sulla base di modellizzazioni idrologiche, che il Mediterraneo si riempì nuovamente nel giro di pochi anni (da 2 a 16) a causa dell’improvviso collasso della barriera geologica che lo aveva isolato dall’oceano Atlantico, l’istmo di Gibilterra. Tuttavia, la prova capace di supportare un simile scenario non era mai stata trovata. Se avvenuto, un fenomeno naturale così impressionante, con tassi di riversamento dell’acqua di mare dall’Atlantico al Mediterraneo stimati tra 65 e 100 milioni di m3 al secondo – superiori di gran lunga a quelli di qualsiasi altra alluvione catastrofica conosciuta nella storia della Terra – avrebbe dovuto necessariamente lasciare la sua firma sul paesaggio.

“La nostra ricerca si è proposta di individuare la prova in grado di avallare la tesi del rapido e violento riempimento del Mediterraneo, e ha visto la partecipazione di studiosi provenienti da varie Università e Istituti di ricerca europei ed extraeuropei (Italia, Spagna, Germania, Inghilterra e California) – spiega Giovanni Barreca, Professore del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Catania e Associato di ricerca presso l’Osservatorio Etneo dell’INGV – Ci siamo concentrati su una vasta area siciliana tra le province di Siracusa e Ragusa, nella parte più meridionale dell’altopiano ibleo – tra Noto, Portopalo, Rosolini e Pozzallo – e nelle aree sommerse del Golfo di Noto. Grazie a un approccio multidisciplinare siamo stati in grado di fornire le evidenze più convincenti del passaggio nella zona della Mega-Alluvione Zancleana circa 5 milioni di anni fa”.

“Abbiamo notato come l’area studiata sia oggi dominata da più di 300 colline dalla forma stretta ed allungata, disposte in direzione Nord Est-Sud Ovest e separate da profondi solchi paralleli. Lo studio morfo-metrico e la modellizzazione idrodinamica hanno rivelato come le colline siano state verosimilmente modellate fluido-dinamicamente dall’azione su larga scala di un consistente flusso d’acqua turbolento avente direzione predominante verso Nord Est. Le analisi stratigrafiche hanno permesso di ricostruire il paesaggio in epoca precedente l’arrivo della catastrofica alluvione (cioè, prima di 5.33 milioni di anni). L’area doveva apparire come un’estesa baia di mare basso sul cui fondale si depositavano sedimenti calcarei, gessi e sali. Parzialmente emersa alla fine della Crisi di salinità del Messiniano per via dell’abbassamento del livello del mare legato all’evaporazione, l’area venne poi inondata – secondo i risultati del nostro studio – dall’imponente massa d’acqua proveniente dal Mediterraneo Occidentale. La forza esercitata dal peso della colonna d’acqua e il suo impetuoso scorrere verso Est hanno fortemente rimodellato il paesaggio con l’escavazione di profondi solchi paralleli alla direzione del flusso. L’erosione del paesaggio ha prodotto enormi volumi di detriti rocciosi, strappati probabilmente dal vicino altopiano ibleo e oggi preservati sulle creste delle colline; l’enorme massa di acqua e detriti ha inoltre scavato un gigantesco canyon (il cosiddetto ‘canyon di Noto’)”, prosegue Barreca.

La ricostruzione geologico-stratigrafica effettuata dal team di ricerca, supportata da realistiche modellizzazioni numeriche, fornisce dunque la prova visibile e più convincente della più grande mega-inondazione ipotizzata sul nostro Pianeta.

L’area analizzata potrebbe diventare in futuro sito di interesse mondiale per gli studiosi di alluvioni catastrofiche, tema oggi sempre più attenzionato soprattutto nelle regioni periglaciali (ad esempio, India, Pakistan, Cina e Perù) dove, a causa dell’innalzamento delle temperature e dello scioglimento dei ghiacci, le inondazioni da collasso di laghi potrebbero diventare sempre più frequenti e pericolose, esponendo a questo rischio un totale di circa 15 milioni di persone nel mondo.

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