Nuove tecniche di osservazione potrebbero svelare anomalie nell’Universo, sfidando il modello cosmologico attuale
Uno studio pubblicato su JCAP propone un test per il Principio Cosmologico basato sulla lente gravitazionale debole
Trieste, 11 febbraio 2025 – Un nuovo studio pubblicato sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics (JCAP) illustra una metodologia per mettere alla prova l’assunto di omogeneità e isotropia dell’universo, noto come Principio Cosmologico, sfruttando il fenomeno fisico della lente gravitazionale nella sua forma debole – un effetto di distorsione della luce descritto dalla relatività generale – nelle immagini astronomiche raccolte da nuovi osservatori, come il telescopio spaziale Euclid. Trovare prove di anomalie nel Principio Cosmologico potrebbe avere profonde implicazioni sulla nostra attuale comprensione dell’Universo.
“Vedo il Principio Cosmologico come una sorta di dichiarazione di umiltà estrema”, spiega James Adam, astrofisico presso l’Università del Western Cape, a Città del Capo, in Sudafrica, e primo autore del nuovo studio. Il Principio Cosmologico infatti sostiene che non solo non ci troviamo al centro dell’Universo, ma anche che un centro vero e proprio non esiste. Secondo lo stesso Principio inoltre l’Universo è anche isotropo, cioè privo di direzioni privilegiate. Questi assunti sono alla base del Modello Standard della cosmologia, il quadro teorico oggi più largamente condiviso con cui spieghiamo l’origine, l’evoluzione e lo stato attuale dell’Universo, un modello solido, coerente e supportato da numerose osservazioni scientifiche, ma non perfetto.
Alcune osservazioni cosmologiche recenti suggeriscono che, su scale estremamente grandi, potrebbero infatti esistere delle anisotropie – variazioni nella struttura dell’Universo che mettono in discussione l’assunto di isotropia del principio cosmologico. Queste anomalie sono emerse con metodi ed esperimenti diversi, tra cui misurazioni contrastanti del tasso di espansione dell’Universo, studi sulla radiazione cosmica di fondo e varie incongruenze nei dati cosmologici.
Si tratta comunque di osservazioni ancora non conclusive: per escludere errori di misurazione, dovranno essere raccolti maggiori dati utilizzando altre metodologie indipendenti. Solo così, è cioè se più tecniche confermassero le stesse anomalie, l’esistenza di queste anisotropie diventerebbe molto più difficile da smentire.
Il nuovo studio pubblicato su JCAP da Adam e colleghi nasce proprio per ampliare le osservazioni. Gli autori hanno sviluppato una metodologia per testare l’isotropia dell’Universo utilizzando osservazioni da strumenti come Euclid. Euclid è un telescopio spaziale dell’ESA lanciato nel 2023, che ha appena iniziato a produrre immagini del cosmo con una potenza, una precisione e una risoluzione senza precedenti.
“Abbiamo studiato un metodo alternativo per vincolare l’anisotropia che sfrutta il cosiddetto lensing gravitazionale debole”, spiega Adam. Il lensing gravitazionale debole si verifica perché la materia tra noi e una galassia distante piega leggermente la sua luce, alterando la forma apparente della galassia. Il tipo specifico di distorsione può rivelare se esistano o meno anisotropie nell’Universo. L’analisi dei dati di lensing gravitazionale permette infatti agli scienziati di separare il segnale in due componenti: la distorsione nel modo E che è generata dalla distribuzione della materia in un universo isotropo e omogeneo, e quella nel modo B, tipicamente molto debole e che non dovrebbe comparire su larga scala in un universo isotropo.
Non basta tuttavia osservare semplicemente i modi B su larga scala per confermare un’anisotropia, perché essendo segnali molto deboli potrebbero derivare da errori di misurazione o effetti secondari. Un’anisotropia reale influenzerebbe sia gli i modi E che i B in un modo non indipendente, generando una correlazione tra i due segnali. Solo l’osservazione di una correlazione significativa tra tra i due modi nei dati di Euclid potrebbe dunque suggerire un’espansione anisotropa dell’Universo.
I prossimi passi
Nel loro studio, Adam e colleghi hanno simulato al computer gli effetti di un’espansione anisotropa dell’Universo, sviluppato un modello che descrive come questa modificherebbe il segnale del lensing gravitazionale. Hanno inoltre calcolato quale correlazione incrociata tra i modi E e B verrebbe prodotta da un Universo anisotropo e infine applicato il loro modello ai futuri dati di Euclid, confermando che queste osservazioni saranno abbastanza precise da rilevare potenziali anisotropie.
Euclid ha già iniziato a fornire dati utili per queste analisi e nuovi osservatori entreranno presto in funzione. Ora che hanno sviluppato la metodologia corretta, Adam e i suoi colleghi intendono applicarla ai dati reali. “Dopo aver controllato il nostro lavoro quattro volte, bisogna prendere seriamente in considerazione se questo assunto fondamentale sia effettivamente vero oppure no, specialmente nell’Universo più recente. O magari scopriremo che non lo è mai stato”, spiega Adam.
Se queste anomalie venissero confermate, si aprirebbe dunque un nuovo capitolo nella cosmologia. Non sarà facile, però: esistono già modelli teorici alternativi che prevedono anisotropie, ma nessuno di questi è solido o ampiamente accettato quanto il Modello Standard. Tuttavia, qualsiasi revisione teorica dipenderebbe anche dall’entità dell’anisotropia che potrebbe essere rilevata, che rimane incerta. “Potrebbe trattarsi di una revisione seria – conclude Adam – oppure solo dell’aggiunta di un piccolo termine qua e là. Chi lo sa”.