Roma, 6 febbraio 2019 – Ci deve essere un cromosoma comune ai Ministri della Sanità. Il Consiglio Superiore di Sanità della nuova era politica per l’Anaao Assomed somiglia troppo ai vecchi, con l’unico merito di avere richiamato alcuni dei cervelli in fuga che da anni regaliamo all’Europa e tutti i vizi, amplificati, delle nomine precedenti.
Il primo dato che salta agli occhi è la ridotta presenza delle donne, un misero 10%, 3 su 30, tra professione medica ed infermieristica, in eclatante controtendenza non solo con il precedente Consiglio ma con una presenza femminile largamente maggioritaria, oggi e domani, nella sanità italiana, espressione del più grande cambiamento che sta attraversando la professione medica.
Ma oltre ad una preferenza di genere, i geni del “merito” e della “reputazione internazionale” mostrano una chiara distribuzione geopolitica.
La composizione del CSS continua, infatti, ad essere un monocolore universitario, in cui spicca 1 (una!!) sola mosca bianca di medico ospedaliero. Come a dire che tra i 105.000 medici dipendenti del SSN la “selezione laboriosa e meticolosa” non è riuscita, malgrado ogni sforzo, a trovare nessun altro dotato dei requisiti richiesti.
Requisiti che sono, evidentemente, nel patrimonio genetico dell’Università ma introvabili tra i medici del SSN, letteralmente sommersi dalla marea delle professionalità di “chiara fama” così facili da rinvenire nel mondo accademico. Con una curiosa concentrazione territoriale in Lombardia e Veneto, da dove proviene la metà dei componenti medici, segno che le pianure brumose costituiscono l’ambiente adatto alla riproduzione ed alla selezione del merito in sanità. Mentre il mare e il sole, ed i piani di rientro, si adattano meglio alla sanità animale, al netto della quale tutto il sud, isole comprese, esprime solo 3 componenti medici. Anche merito e cambiamento si sono fermati a Eboli.
In perfetta continuità con “quelli di prima”, un organo consultivo del Ministro della Salute si identifica, così, in una istituzione di un altro Ministero. Una palmare decapitalizzazione del patrimonio professionale della sanità pubblica che, invece di essere valorizzato, viene di fatto lasciato fuori dal nuovo CSS, dove trovano posto solo le università, comprese quelle private, ma non gli ospedali pubblici. Non era quello che speravamo quando abbiamo letto del cambiamento come cifra del nuovo Governo.
Ce ne faremo una ragione. Come si farà una ragione la Ministra del fatto che i 105.000 medici ospedalieri, moltissimi dei quali con curriculum che niente hanno da invidiare a quelli della blasonata accademia, non intendono rassegnarsi al “destino manifesto” che li vorrebbe condannati alla subalternità professionale e alla delegittimazione istituzionale, incapaci di fare ricerca e proporre “innovazioni delle organizzazioni”, buoni solo per tenere aperti, tra le mille difficoltà che la Ministra certamente conosce, i cancelli del SSN, di giorno e di notte, per tutelare la salute dei cittadini.
Destino considerato, evidentemente, un corollario naturale del peggioramento delle condizioni del loro lavoro e della loro marginalizzazione nei processi decisionali. Per poi essere usati come capro espiatorio delle (non) decisioni di altri.