A cura del prof. Giovanni Di Guardo, già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo
Il premio Nobel per la Medicina, che è stato appena assegnato da una Commissione di Professori del prestigioso Karolinska Institute svedese alla biochimica ungherese Katalin Karikó e all’immunologo statunitense Drew Weissman per la tecnica dell’RNA messaggero (mRNA) messa a punto dagli stessi, mi spinge a fare alcune importanti riflessioni e considerazioni.
Di questa tecnologia, che senza tema di smentita si può definire rivoluzionaria, ha enormemente beneficiato, in primis, la produzione dei vaccini anti-SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della COVID-19, che ha sinora mietuto oltre 7 milioni di vittime su scala globale. E sono stati proprio i vaccini a mRNA, fin qui somministrati in numero pari a 13 miliardi di dosi e resi disponibili su scala globale a soli 12 mesi di distanza dell’identificazione del virus nella megalopoli cinese di Wuhan – un risultato da iscrivere a pieno titolo nel “guiness dei primati” – ad avere salvato milioni e milioni di vite umane, garantendo un’efficace protezione sul duplice fronte sia della malattia in forma grave sia dell’exitus da/per/con Covid.
Particolarmente degna di nota è la grande ‘duttilità’ insita nella tecnica dell’mRNA, che consente un’agevole ‘riprogrammazione’ dei vaccini anzidetti nei confronti di tutte le varianti di SARS-CoV-2 e, soprattutto, di quelle più diffusive, trasmissibili ed immuno-evasive quali ad esempio le ‘ultimogenite’ sottovarianti di Omicron rappresentate da “Eris” (alias EG.5) e da “Pirola” (alias BA.2.86).
La manegevolezza di questa tecnologia parimenti offre una serie di promettenti quanto interessanti prospettive d’impiego nella profilassi immunizzante verso agenti patogeni particolarmente mutevoli – anche nel corso di una medesima infezione in un medesimo ospite – quali ad esempio il plasmodio della malaria, il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) e, soprattutto, i virus influenzali.
A fronte di quanto sopra, la tecnologia dell’mRNA è stata ‘partorita ad opera di Katalin Karikó dopo una ‘gestazione’ quanto mai lunga, difficile e complessa, durata ben 30 anni! Migrata nel lontano 1985 dall’Ungheria in USA per frequentare un dottorato di ricerca, la Professoressa Karikó sperimentò ben presto sulla propria pelle, per numerosi anni consecutivi, una forte ‘dose di ostracismo’ nei confronti dei propri studi in tema di mRNA, che nessuno era disposto a finanziare, cosicché fu tentata più volte dalla volontà di sospendere le sue ricerche in quella direzione.
Così fino a quel giorno del 1990 in cui conobbe Drew Weissman, anch’egli in fila alla fotocopiatrice dell’Università della Pennsylvania. Ne scaturì un solido quanto proficuo sodalizio, grazie al quale i due scienziati, dopo anni ed anni d’intenso lavoro, riuscirono ad ottenere una molecola di mRNA in grado di penetrare all’interno delle cellule-ospiti senza suscitare una risposta immunitaria indesiderata.
Questo brillante risultato – un assoluto prerequisito rispetto all’utilizzo della tecnologia dell’mRNA nella produzione dei vaccini anti-SARS-CoV-2, così come per molte altre potenziali applicazioni della stessa nella terapia dei tumori, delle malattie autoimmuni e neurodegenerative – venne reso possibile grazie alla sostituzione dell’uridina con una molecola ad essa molto vicina, la pseudouridina.
Quella di Katalin Karikó, oltre ad essere la storia di una grande donna di scienza, insignita della più alta onorificenza che mai possa essere conseguita da qualsivoglia ricercatrice o ricercatore, è anche e soprattutto la commovente ed entusiasmante storia di chi, per dirla con la celeberrima frase di Vittorio Alfieri, “Volle, e volle sempre, e fortissimamente volle”, che fa il paio con l’altrettanto popolare espressione “Fortuna Audaces Iuvat”.
Rappresentato altrimenti, a questo fulgido e luminoso ritratto di vita fa da degna cornice una terza e quanto mai famosa ed eloquente frase: “Per Aspera ad Astra”!