Napoli, 24 ottobre 2023 – L’European Academy of Neurology (EAN) ha organizzato lo scorso maggio l’evento BRAIN HEALTH 2023 intitolato “Neurologia di precisione e prevenzione delle malattie neurologiche”.
Alla prevenzione delle malattie neurologiche la SIN ha dedicato l’ultima giornata nazionale del 22 settembre, sottolineando l’importanza del riconoscimento precoce delle malattie neurologiche per poter intervenire cambiandone la storia naturale.
Di Neurologia di Precisione si parla anche al Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia (SIN) in corso a Napoli spiegando come questo termine indichi la capacità di effettuare interventi mirati e personalizzati nelle malattie neurologiche che nel nostro Paese fanno registrare numeri importanti: oltre 6 milioni le persone che soffrono di emicrania, 2/3 circa dei quali sono donne; 1 milione coloro che convivono ogni giorno con la Malattia di Alzheimer e hanno bisogno di costante assistenza; 400.000 con Malattia di Parkinson; 90.000 circa le donne e gli uomini afflitti dalla Sclerosi Multipla, malattia che induce disabilità progressiva; 500.000 i pazienti con epilessia.
Il più ampio concetto di Medicina di Precisione in cui essa rientra migliora la cosiddetta medicina personalizzata e si avvale, oltre che delle informazioni tradizionali ottenute dall’anamnesi del paziente, dall’esame clinico, dalla diagnostica per immagini eccetera, anche di informazioni genomiche e metabolomiche e non tradizionali, come i dati di analisi dell’eloquio o di quelli provenienti da device indossabili.
Trattamenti di precisione
Diventa di precisione anche il trattamento con terapie mirate ad esempio su alterazioni genomiche specifiche che possono consentire un intervento tempestivo o la prevenzione di malattie come epilessia, miastenia gravis, disturbi dello spettro della neuromielite ottica e della sclerosi multipla.
Si tratta di una sorta di Rinascimento Scientifico che, per superare i limiti delle tradizionali diagnosi basate su sintomi e segni, implementa i progressi tecnologici e scientifici e punta sullo sviluppo clinico di farmaci “magici” da usare in popolazioni target eterogenee.
Siamo di fronte a un passaggio concettuale da trattamenti più o meno efficaci per “medie di popolazione” biologicamente eterogenee a terapie mirate guidate da biomarcatori su misura che definiscono l’approccio terapeutico più efficace per uno specifico individuo, in una determinata fase della malattia.
Oltre i farmaci
Avvalendosi peraltro anche di trattamenti non farmacologici di elevata precisione come la neurostimolazione di precise aree cerebrali tramite microstimolazioni elettriche attentamente calibrate (DBS, tDCS, ecc) o di neurochirurgia con guida ad imaging per condizioni non risolvibili come l’epilessia farmacoresistente o di chirurgica a ultrasuoni focalizzati guidati da risonanza magnetica (MRgFU) per tumori del SNC o forme intrattabili di discinesia e di malattia di Parkinson.
Marker Malattia di Parkinson
“In quest’ultimo disturbo del movimento l’individuazione precoce è fondamentale ai fini della prognosi – sottolinea il Presidente SIN prof. Alfredo Berardelli Professore Emerito della Sapienza di Roma – La diagnosi della malattia di Parkinson è ancora basata su criteri puramente clinici, ma la scoperta dell’alfa sinucleina, forma mutata della proteina sinucleina che diviene tossica rendendosi verosimilmente responsabile dei fenomeni di neurodegenerazione che caratterizzano la malattia, ha aperto la strada all’identificazione di questa proteina mutata in vari distretti quali la cute, il sangue, il liquido cefalorachiano e la saliva come possibile marcatore biologico. La saliva offre grandi potenzialità per il futuro ed è dimostrato che le alterazioni dell’alfa-sinucleina salivare si correlano con lo stato clinico del paziente affetto dalla malattia”.
In popolazioni a rischio è ipotizzabile che le alterazioni della sinucleina possono essere evidenziate anche nelle fasi prodromiche: vari studi hanno dimostrato che già molti anni prima dell’esordio clinico a carico di varie strutture s’instaurano alterazioni di tipo neurodegenerativo che precedono la comparsa dei classici segni clinici di malattia.
Uno studio di quest’estate indica ad esempio che turbe gastroenteriche legate a un processo auto-infiammatorio nei confronti della sinucleina alfa32-46 la precedono addirittura di una decina d’anni.
Elettroceutica
Oltre a marker specifici, la Neurologia di Precisione si avvale anche di una nuova area d’indagine chiamata elettroceutica caratterizzata dalla possibilità di acquisire informazioni grazie a moderne strumentazioni con sensori capaci di monitorare ed eventualmente anche trattare le condizioni in Real Life e in Real Time.
Device indossabili
Le informazioni ricavabili da device indossabili possono rilevare e monitorare condizioni come epilessia, dolore, malattia di Parkinson o disturbi del sonno.
In un recente studio sono state utilizzate cuffiette bluetooth dotate di sensori elettrochimici ed elettrofisiologici che consentono il monitoraggio simultaneo della concentrazione di lattato nel sudore auricolare e dell’attività cerebrale, creando una sorta di holter EEGrafico in Real Life la cui validità andrà valutata nel tempo su più ampie casistiche.
Nuovi farmaci di precisione
Ma la punta di diamante della Neurologia di Precisione è stata l’impiego di farmaci chiamati anticorpi monoclonali, molecole progettate in laboratorio per colpire esattamente il meccanismo biologico che sta alla base della malattia e che per questo vengono chiamate da molti farmaci biologici o biosimilari. Promettono di determinare una svolta nel panorama terapeutico di molte malattie comprese quelle neurologiche e prima fra tutte quella di Alzheimer, la più grave delle demenze.
Algoritmi di malattia
Già nel 2016 il Gruppo di ricerca clinica in Alzheimer Precision Medicine dell’Università della Sorbona per lo sviluppo dei nuovi farmaci anti-Alzheimer ha avviato l’Alzheimer Precision Medicine Initiative (APMI) mirata a migliorare assistenza, diagnostica e ricerca tramite programmi di neuroscienza traslazionale con algoritmi innovativi di intelligenza artificiale basati su genomica esplorativa, biologia e neurofisiologia dei sistemi.
Sclerosi Multipla
Anche nella sclerosi multipla gli ultimi anni hanno visto un notevole miglioramento guidato dall’evoluzione di algoritmi terapeutici volti a ottimizzare e personalizzare la terapia. Siamo passati dal vecchio algoritmo di “escalation” con un iniziale trattamento basato su farmaci a bassa efficacia, ma con un ottimale profilo di sicurezza a un algoritmo di “induzione” che utilizza farmaci a più alta efficacia e un profilo di minor sicurezza.
Fra questi trattamenti figurano i farmaci monoclonali ad alta efficacia che sono sempre più utilizzati nelle prime fasi di malattia permettendo alla maggior parte dei pazienti trattati di rimanere clinicamente stabili con un ottimo profilo di sicurezza.
Soglia di malattia
“La terapia d’induzione prevede l’uso precoce di farmaci ad alta efficacia – spiega il prof. Claudio Gasperini del San Camillo Forlanini di Roma e Coordinatore del Gruppo di studio SM della SIN – per impedire che la malattia superi una certa soglia di danno strutturale oltre la quale i meccanismi di neuroplasticità di compenso vengono esautorati”.
Oggi questa malattia è vista come un continuum dove componente infiammatoria e degenerativa si presentano fin dall’esordio clinico e la comparsa di deficit funzionali viene inizialmente limitata dai meccanismi di neuroplasticità.
Ma se non si interviene tempestivamente sui processi neurodegenerativi con farmaci ad alta efficacia, col passare del tempo il sistema nervoso non sarà più in grado di compensare i danni e si appaleserà una progressione della disabilità su cui non si potrà più intervenire.
Alla luce di queste nuove acquisizioni, gli algoritmi terapeutici della sclerosi multipla si sono modificati in maniera sostanziale nel corso degli anni, e il trattamento precoce con farmaci ad alta efficacia è emerso come un momento cruciale nella gestione della sclerosi multipla.
Restano sfide e rischi associati a questa strategia, ma l’obiettivo di rallentare la progressione della SM e migliorare la qualità della vita dei pazienti la rende un punto fermo nella gestione moderna di questa malattia.
Malattia di Alzheimer
A proposito dei monoclonali il concetto di disease-modifying treatment, cioè di trattamento capace di modificare il corso della malattia, è stato impiegato spesso nella malattia di Alzheimer. È importante però far capire ai pazienti che non sono la cura della malattia, ma che soltanto la rallentano, anche se per la prima volta in modo vigoroso.
“Va chiarito anche che non vanno bene per tutti – commenta il prof. Alessandro Padovani dell’Università di Brescia e Presidente Eletto SIN – ma sono indicati in pazienti con malattia precoce e con ridotta probabilità di effetti collaterali, un’eventualità prevedibile con una risonanza magnetica onde escludere problemi del microcircolo cerebrale”.
ARIA
L’effetto collaterale più frequente è noto con la sigla ARIA, acronimo di amyloid-related imaging abnormalities cioè alterazioni correlate all’amiloide rilevabili tramite imaging. Possono essere di due tipi: E o H, dove E sta per edema/effusions e H per hemorrage/hemosiderin deposition. A svelare la loro presenza possono essere sintomi come vertigine, cefalea, disturbi visivi e aumento dello stato confusionale.
La loro comparsa controindica il trattamento richiedendo un’attenta valutazione da condurre sempre con attenzione perché nell’80% circa dei casi tali sintomi possono anche mancare cosicché senza un preventivo monitoraggio il trattamento può peggiorare il quadro. Nel caso del lecanemab, ad esempio, è bastato sospenderlo per risolvere l’80% delle ARIA.
Con cautela va considerato anche chi è in trattamento con anticoagulanti e chi ha nel suo corredo genetico l’allele APOEε4 il più forte fattore di rischio genetico noto per l’Alzheimer sporadico.
Marker e genomica
Presto saranno disponibili marcatori plasmatici che, insieme ai dati di genomica e metabolomica, potranno definire meglio il rischio di malattia. Ciò sarà fondamentale se i farmaci biologici contro l’amiloide, per i quali siamo in attesa di sapere come l’EMA accoglierà nei prossimi mesi le richieste di approvazione, risulteranno in grado di garantire un significativo beneficio sulla progressione di malattia.
A seconda delle condizioni generali del paziente, si potrà così decidere se per una diagnosi certa, oltre alla Risonanza Magnetica Cerebrale, sono da effettuare anche altre indagini più invasive o costose come l’esame del liquor e la PET Amiloide.
Cofattori preventivi
Stanno intanto emergendo sempre maggiori evidenze secondo cui il controllo di diversi fattori ridurrebbe il rischio di malattia. Non solo scolarità, isolamento, attività fisica, dieta, inquinamento ambientale, eccetera, ma anche fattori di rischio cardiovascolare, incluso diabete, ipertensione arteriosa, obesità e sempre più importante appare il ruolo protettivo di un adeguato e tempestivo trattamento dei disturbi del sonno e/o della depressione.
Emicrania
“I monoclonali hanno cambiato anche il trattamento della cefalea più nota: l’emicrania. In questa malattia una somministrazione sottocutanea mensile, bi- o tri-mensile a seconda del brand elimina gli attacchi dolorosi in chi ne aveva anche 2 o 3 al giorno – afferma il prof. Gioacchino Tedeschi, Past President SIN e Presidente del congresso di Napoli – Per quanto anche l’uso della tossina botulinica si sia dimostrato assai efficace nella prevenzione dell’emicrania cronica, queste nuove molecole sono capaci, in tempi brevi, di dimezzare il numero di giorni di emicrania in circa il 70% dei pazienti fino ad arrivare, in una piccola ma non trascurabile percentuale di pazienti, alla completa scomparsa degli episodi emicranici”.
È stata una rivoluzione che da una parte ha scardinato farmaci di prevenzione gravidi di effetti collaterali che duravano da cinquant’anni e dall’altra ha eroso l’egemonia di farmaci di trattamento acuto da prendere al bisogno come i triptani che dominavano lo scenario della terapia antiemicrania del nuovo millennio.
Trattamento acuto dell’attacco
Anche nel trattamento acuto non si possono dimenticare i ditani (lasmiditan) che potremmo definire una sorta di “evoluzione” dei triptani sia in termini di efficacia che di sicurezza, soprattutto in pazienti con comorbilità cardiovascolari.
Ci sono poi i gepanti (quali rimegepant, e a breve l’atogepant) che agiscono sempre sul recettore del CGRP e promettono una rivoluzione nell’approccio terapeutico a questi pazienti perchè potranno essere usati sia come terapia dell’attacco acuto sia come terapia preventiva.
Sono risultati di elevata efficacia e pressoché privi di effetti avversi e, da quanto emerso dagli studi preclinici, sono anche caratterizzati da una minor tendenza a indurre i fenomeni di sensitizzazione centrale che sottendono la cronicizzazione dell’emicrania.
Malattia di Parkinson
“Da un paio d’anni gli anticorpi monoclonali vengono studiati anche nella malattia di Parkinson per colpire l’alfa-sinucleina, la proteina anomala ormai considerata il marker d’eccellenza di questa malattia, ma ancora non siamo arrivati a individuare il monoclonale giusto – dichiara il prof. Berardelli e occorreranno ulteriori studi per dimostrare se lo sviluppo di monoclonali rivolti unicamente verso la questa proteina possano rappresentare una terapia efficace”.
Epilessia
Un’altra malattia in cui il trattamento con monoclonali sta muovendo solo i primi passi è l’epilessia, o meglio le epilessie dato che secondo l’ultima classificazione ILAE 2017 si distinguono almeno una trentina di diverse sindromi epilettiche.
Come spiega il prof. Antonio Labate dell’Università di Messina e Coordinatore Nazionale del Gruppo di Studio sull’Epilessia della SIN: “Se finora siamo ancora solo in fase di studio per il monoclonale anti-HMGB1, acronimo di High mobility group box-1, il trattamento di queste malattie ha avuto comunque un’importante evoluzione e oggi possono essere trattate sia con farmaci, sia con terapie adiuvanti di neurostimolazione che consentono di evitare le crisi o di ridurne frequenza e intensità nella stragrande maggioranza dei casi, quietando l’ipereccitabilità del focus epilettico. Ciò a patto però di una regolare assunzione dei farmaci e di una loro adeguata concentrazione plasmatica (che va sempre controllata con costanti dosaggi ematici)”.
Ampio portafoglio
I farmaci oggi disponibili sono moltissimi: dal vecchio fenobarbital ai nuovi cenobamato e felbamato. Fra i più recenti ci sono il cannabidiolo e la fenfluramina prima utilizzata per l’obesità e risultata adatta nelle encefalopatie epilettiche dell’età pediatrica.
Considerando la variabilità interindividuale ormai si sa quanta e che tipo di efficacia ci si può attendere da ognuno di questi farmaci nelle varie forme di epilessia e infatti, a seconda dei casi, uno stesso farmaco può essere, di volta in volta, considerato di prima o di seconda scelta o di associazione oppure si può iniziare combinando direttamente farmaci dal diverso meccanismo d’azione.
Neurochirurgia di precisione
Fa eccezione a queste regole un 30% di sfortunati pazienti farmacoresistenti nei quali risultano inefficaci anche i trattamenti adiuvanti di neurostimolazione. In questi casi è comunque sempre possibile ricorrere ai trattamenti ablativi in stereotassi con guida in risonanza magnetica che eliminano il focus epilettico, una tecnica neurochirurgica dalla precisione sempre più affinata dimostratasi di particolare efficacia nei giovani.
Telemedicina
Durante la recente pandemia la telemedicina ha dimostrato di migliorare il trattamento dell’epilessia, ma un recente studio tedesco denuncia il gap socio-economico che ancora oggi sussiste nell’assistenza digitale ed esorta a migliorare l’informazione su tali servizi soprattutto in pazienti svantaggiati dal punto di vista socioeconomico che non hanno familiarità con l’uso della telemedicina e delle applicazioni mobili (app) per l’epilessia.
Il monito è adatto a tutte le malattie dove la telemedicina è sempre più usata, ma va detto che per quanto riguarda l’epilessia nel nostro Paese tale utile strumento assistenziale deve essere ancora regolamentato dal punto di vista legislativo invece di essere lasciato all’iniziativa del singolo specialista.
mHealth
La mHealth (salute mobile) è secondo l’OMS una branca dell’eHealth che prevede l’uso delle tecnologie di telecomunicazione mobile e multimediali integrate in sistemi wireless di erogazione dell’assistenza sanitaria.
“Con il contributo delle Case e degli Ospedali di Comunità e delle Centrali Operative Territoriali le forme di telemedicina e di mhealth stanno assumendo un’importanza crescente nell’intensificazione dei modelli erogativi a domicilio – afferma il dott. Rocco Quatrale, Direttore del Dipartimento di Scienze Neurologiche dell’Ospedale dell’Angelo di Mestre – I modelli organizzativi di rete consentono un’interdipendenza fra i diversi servizi offerti al paziente nelle varie fasi della malattia, ma anche un’integrazione tra servizi sanitari e non sanitari per la presa in carico della persona e del suo nucleo familiare, nell’ottica della cosiddetta Neurologia di prossimità”.
Neurologia di prossimità
Sul territorio sta nascendo la figura di un nuovo neurologo che s’inserirebbe all’interno dei diversi contesti assistenziali per gestire il collegamento tra ospedali, territorio e famiglia/caregiver.
Ciò promette di garantire:
- una migliore gestione;
- un più efficace e sistematico coordinamento dell’intero processo in entrata e in uscita dall’ospedale;
- un ottimale collegamento tra i vari livelli del percorso assistenziale, a ponte tra ospedale e territorio;
- una reale assistenza di prossimità.
Malattie neuromuscolari
Un esempio dell’opportunità d’intervento di questa nuova figura di neurologo è un altro gruppo di malattie che ha vissuto un’evoluzione terapeutica a sé stante: sono le distrofie muscolari, malattie ereditarie caratterizzate da alterata produzione di proteine essenziali al funzionamento delle fibre muscolari, prima fra tutte la distrofina.
La forma peggiore è la distrofia di Duchenne: fino al 2014 non esisteva cura efficace, ma quell’anno l’EMA ha approvato il farmaco Ataluren poi autorizzato nel 2021 dall’AIFA per pazienti che ancora conservano la deambulazione e che nel loro corredo genetico sono portatori di una specifica mutazione “nonsense” che ataluren corregge.
“Il farmaco è disponibile e rimborsabile in Italia e ripristina parzialmente l’integrità della distrofina in mancanza della quale si verifica danno e morte della maggior parte delle fibre muscolari scheletriche – spiega il prof. Antonio Toscano Segretario SIN e Tesoriere EAN – anche se purtroppo funziona solo in un numero limitato di pazienti portatori di una specifica mutazione”.
All’ataluren è seguito l’eteplirsen che mantiene le stesse limitazioni di target terapeutico: è un inibitore della istone-deacetilasi che riduce l’infiltrazione di tessuto adiposo del tessuto muscolare.
“Entrambi questi farmaci – prosegue il prof. Toscano – hanno modificato la storia naturale della malattia, ma poiché hanno indicazione dal secondo anno di vita, la diagnosi precoce è fondamentale: i primi sintomi della malattia compaiono peraltro proprio intorno ai 4-5 anni per essere seguiti da un ingravescente peggioramento della funzione muscolare che spesso già nella prima adolescenza costringe alla sedia a rotelle per poi progredire, fino alla necessità della ventilazione assistita creando una condizione che spesso è causa di exitus”.
Miastenia
Anche la miastenia è una malattia neuromuscolare autoimmune che provoca una debilitante debolezza muscolare che nella rara forma generalizzata mette potenzialmente il paziente in pericolo di vita.
Anche in queste malattie prima trattate con cortisonici, plasmaferesi e nei casi più gravi con timectomia, sono stati sviluppati monoclonali come l’eculizumab che agisce come inibitore del complemento e anche bloccanti del recettore Fc delle immunoglobuline come l’efgartigimod che hanno rivoluzionato l’approccio terapeutico di questi pazienti.
SMA
Anche la SMA, l’atrofia muscolare spinale, è una malattia genetica che è importante sospettare e riconoscere precocemente mediante specifici esami genetici in modo da trattarla con moderni farmaci specifici (zolgensma, risdiplam, spinraza) che finalmente consentono ai pazienti di raggiungere le tappe motorie entro i normali tempi di sviluppo.