ESC Congress 2016: dei 50mila casi l’anno, 1 su 4 può salvarsi grazie al defibrillatore
Roma, 27 agosto 2016 – I programmi di primo soccorso hanno aumentato esponenzialmente la disponibilità di defibrillatori automatici (AEDs) nei luoghi pubblici, ma ci sono ancora pochi dati sull’effettivo utilizzo. Al Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Girona (Spagna) hanno svolto una analisi dell’uso di questi dispositivi da quando ne è stato implementato l’uso nella Regione.
“I dati epidemiologici dell’OMS – afferma Franco Romeo, direttore Cardiologia Policlinico Tor Vergata di Roma e ESC Local Press Coordinator – parlano di un caso ogni mille abitanti l’anno per un totale di 350mila morti negli Stati Uniti e 50mila in Italia, circa 1.200 al giorno. Tra questi si contano anche circa 1.000 giovani con meno di 35 anni. Circa l’80% dei decessi improvvisi è attribuibile alla cardiopatia ischemica”.
Nello studio presentato al Congresso ESC 2016 della Società Europea di Cardiologia sono state prese in esame sia unità fisse che mobili, in una analisi retrospettiva eseguita tra il 2011 e il 2015. Dei 231 dispositivi disponibili, è stato possibile ottenere informazioni complete su 189, il 71,4% erano portatili.
L’alterazione più frequentemente identificata era l’asistolia (l’assenza della sistole cardiaca, ossia la mancanza di attività elettrica del cuore che comporta il blocco della circolazione sanguigna), presente nel 42% dei casi, mentre è stato identificato un primo ritmo defibrillabile nel 24% dei tracciati. Gli AEDs hanno dimostrato una specificità del 100% nell’individuare le aritmie per le quali era indicato eseguire la defibrillazione con solo 8 casi ‘falsi negativi’ di fibrillazione ventricolare.
Individuato il ritmo per cui vi è indicazione al trattamento di emergenza, il defibrillatore si è dimostrato efficace nel ripristinare il ritmo sinusale, ossia il battito imposto al cuore dal ‘nodo seno-atriale’, (pacemaker naturale che si trova nell’atrio destro, in congiunzione con la vena cava superiore).
L’analisi del ritmo e dello status cardiopolmonare ha permesso ai volontari di intervenire nel 79% dei casi. Il 42,5% dei pazienti trattati con il dispositivo di emergenza recuperava la circolazione spontanea, contro il 47% dei soggetti con alterazioni senza indicazioni al trattamento. La ricerca ha mostrato che solo 1 su 4 era candidato all’uso del defibrillatore ma soprattutto ha mostrato l’eccellente livello di sicurezza e specificità: la metà dei pazienti sottoposti a shock sono stati successivamente trattati con successo dei dipartimenti di emergenza. Unico neo: l’incapacità dei dispositivi ad identificare alcune fibrillazioni lievi/sottili, un problema da risolvere per non rischiare l’under-treatment.
“Le malattie cardiovascolari rappresentano ancora oggi la principale causa di morte in Italia, essendo attribuibile a queste patologie oltre il 41% dei decessi registrati ogni anno, ben oltre la percentuale ascrivibile a tutte le patologie tumorali (28.4%) – spiega Leonardo Bolognese, direttore Cardiologia ospedale di Arezzo – e, considerando gli anni potenziali di vita perduti (ovvero gli anni che ciascun deceduto avrebbe vissuto, se fosse morto ad un’età pari a quella della sua speranza di vita), le malattie cardiache causano ogni anno la perdita di oltre 300.000 anni di vita della popolazione con meno di 65 anni (1)”.
“Le aritmie fatali più spesso colpevoli di arresto cardiaco sono le aritmie ventricolari – aggiunge Michele Gulizia, direttore Cardiologia Ospedale Garibaldi di Catania – e, tra queste, la fibrillazione ventricolare. La malattia coronarica, con una prevalenza dell’80%, rappresenta di gran lunga la causa più frequente di Morte Cardiaca Improvvisa (MCI) (circa il 63% della mortalità totale), e tale percentuale non è significativamente diversa tra i due sessi (62.9% nei maschi e 63.8% nelle femmine. L’incidenza della MCI continua a crescere proporzionalmente con l’età, ma si evidenzia come oltre il 45% delle MCI interessi soggetti con meno di 65 anni. È fondamentale il luogo in cui avviene l’evento MCI. La localizzazione è importante per determinare le modalità più opportune di intervento (la cosiddetta “catena della sopravvivenza”) e l’organizzazione delle risorse”.
Secondo lo studio Maastricht, l’80% degli arresti cardiaci extra ospedalieri è avvenuto a domicilio ed, in quasi la metà dei casi, in assenza di testimoni. Il 20% circa degli eventi avviene, invece, in strada od in ambienti pubblici, dando luogo pressoché in tutti i casi (93%) ad un tentativo di rianimazione. Secondo la legge n.120 del 2001 la sopravvivenza dopo arresto cardiaco è del 2%, ma se la defibrillazione avviene entro 5 minuti, la percentuale schizza al 50%.
Dei 50.000 casi italiani l’anno, ¼ potrebbe salvarsi con il defibrillatore. La maggiore efficacia si registra se l’intervento viene somministrato entro 5 minuti dall’evento: ogni minuto che passa si riduce la possibilità di sopravvivere del 10%.
fonte: ufficio stampa