Roma, 8 giugno 2020 – La combinazione di due terapie a bersaglio molecolare, dabrafenib e trametinib, dopo rimozione chirurgica del melanoma (terapia adiuvante) offre un beneficio di sopravvivenza libera da recidiva (RFS) prolungato e duraturo a pazienti ad alto rischio con diagnosi di melanoma con mutazione del gene BRAF in stadio III.
Lo dimostrano i risultati dello studio clinico di riferimento COMBI-AD (Abstract #10001), presentati al congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO). Gli sperimentatori hanno osservato che il 52% dei pazienti trattati con dabrafenib + trametinib in adiuvante è ancora vivo e libero da recidiva dopo cinque anni. Tra i pazienti inclusi nel braccio di trattamento con placebo, il 36% era vivo e libero da recidiva dopo 5 anni, in linea con i tassi di sopravvivenza libera da recidiva tipici del melanoma osservati nei pazienti in stadio III non trattati farmacologicamente dopo la chirurgia. Il trattamento con dabrafenib e trametinib ha ridotto il rischio relativo di recidiva o morte del 49% rispetto al placebo.
“I pazienti che, alla diagnosi, presentano malattia allo stadio III sono circa il 15% di tutti i nuovi casi di melanoma, e risultano essere ad alto rischio di recidiva dopo l’intervento chirurgico con una prognosi significativamente peggiore – afferma Paola Queirolo, Direttore Divisione Melanoma, Sarcoma e Tumori rari all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano – I risultati dello studio COMBI-AD mostrano che il trattamento adiuvante con dabrafenib + trametinib, dopo resezione chirurgica, offre una sopravvivenza libera da recidiva a lungo termine. Cinque anni di follow up rappresentano un traguardo clinicamente ed emotivamente significativo. La maggioranza delle recidive, nei pazienti con melanoma in stadio III, si manifesta entro cinque anni e il melanoma ricorrente con mutazione di BRAF, una volta che si è diffuso agli altri organi, può essere pericoloso e più difficile da curare rispetto alla malattia iniziale. Poter trattare i pazienti in questo stadio iniziale di malattia aumenta la possibilità di evitare una recidiva e, quindi, potenzialmente di curare il paziente, favorendone la guarigione. L’utilizzo di una combinazione di farmaci capaci di colpire due bersagli ha già portato risultati fino a qualche anno fa insperati nella fase avanzata della malattia e, oggi, conferma di poter cambiare la storia della neoplasia anche in uno stadio precoce. Inoltre, la durata del trattamento con dabrafenib e trametinib è solo di un anno. La prospettiva di una ‘fine’ della terapia, di solito non possibile nel melanoma metastatico, rappresenta un notevole vantaggio psicologico per pazienti spesso giovani”.
I risultati dello studio COMBI-AD derivano da un’analisi prospettica su 870 pazienti con mutazione BRAF V600 resecato, trattati con dabrafenib e trametinib dopo la chirurgia. Lo studio rappresenta la più ampia raccolta di dati e il più lungo follow-up in questa popolazione di pazienti con melanoma trattati con terapia target.
“Per 20 anni non ci sono stati passi in avanti nel trattamento adiuvante del melanoma ad alto rischio di recidiva, essendo l’interferone l’unica terapia disponibile, ma che purtroppo è associata ad una elevata tossicità e a scarsi vantaggi in termini di sopravvivenza globale, complessivamente non superiori al 3% – sottolinea Mario Mandalà, Responsabile Unità Melanoma dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo – Negli ultimi 5 anni, due strategie sono state sviluppate in fase adiuvante, da una parte gli anticorpi che bloccano i checkpoint inibitori del sistema immunitario e dall’altra la terapia target, quest’ultima specifica nei pazienti con melanoma BRAF mutato. All’ASCO 2020, sono stati presentati i dati a 5 anni dello studio COMBI-AD, che ha valutato l’efficacia di dabrafenib + trametinib in pazienti con melanoma in stadio III. I risultati di questo studio dimostrano in maniera incontrovertibile l’efficacia della terapia target non solo a breve termine ma, e questo rappresenta il dato rivoluzionario, anche a lungo termine, essendo questo lo studio con il follow-up più lungo finora pubblicato. A tre anni l’intervallo libero da recidiva era del 59%, a quattro del 54%, a cinque del 52%. Si sta raggiungendo una sorta di plateau, che fa ben sperare nella possibilità di guarigione per questi pazienti. È importante, quindi, anticipare il trattamento con la terapia mirata dabrafenib + trametinib nei pazienti in stadio III, cioè con coinvolgimento dei linfonodi regionali, che presentano alto rischio di recidiva di malattia, perché con questa strategia terapeutica è possibile ottenere una rilevante riduzione del rischio di recidiva in una significativa percentuale di pazienti, altrimenti destinati ad una ripresa di malattia, molto spesso non guaribile quando è ormai recidivata. Inoltre, il profilo di tollerabilità del trattamento consente di mantenere una buona qualità di vita con una facile aderenza alla cura nella maggior parte dei pazienti, con un vantaggio non indifferente: trattandosi di una terapia orale il trattamento è interamente domiciliare”.
“La combinazione di dabrafenib + trametinib, come trattamento adiuvante, è indicata in pazienti in stadio III completamente resecati con mutazione del gene BRAF, presente in circa il 50% dei casi – spiega Michele Del Vecchio, Responsabile S.S. Oncologia Medica Melanomi, Dipartimento di Oncologia Medica ed Ematologia, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano – Si tratta di una mutazione genetica che fa sì che il gene BRAF produca una proteina alterata, cioè cronicamente attivata, che stimola in maniera continuativa la proliferazione delle cellule tumorali. La terapia mirata con dabrafenib + trametinib agisce in maniera selettiva, spegnendo l’attività della proteina BRAF mutata, bloccando quindi l’evoluzione del tumore e garantendo un’elevata efficacia e una maggiore aspettativa di vita. Da qui l’importanza di tracciare un identikit completo e dettagliato del melanoma, a partire dalle fasi precoci, grazie al test per la determinazione dello stato mutazionale di BRAF che consiste in un esame di laboratorio eseguito su un campione di tessuto (sul melanoma primitivo o sulle metastasi ai linfonodi regionali). È importante che vi sia sinergia, cioè una stretta collaborazione multidisciplinare tra le diverse figure professionali coinvolte nella gestione del paziente: dermatologo, radiologo, anatomopatologo, biologo molecolare, oncologo medico e chirurgo. La richiesta di valutare la mutazione BRAF parte generalmente dal chirurgo, mentre la valutazione viene eseguita dal biologo molecolare, a cui l’anatomopatologo invia il tessuto. Pertanto, durante la prima visita, l’oncologo medico deve già poter disporre di questa informazione per decidere la terapia più adeguata al paziente”.