Malattie gastroreumatologiche, avviato studio ‘di genere’ sul trattamento con farmaci biologici

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Roma, 12 ottobre 2018 – Una stessa malattia, pur presentandosi sia nelle donne sia negli uomini, può avere differenze nell’incidenza, nelle caratteristiche cliniche o nelle risposte alle terapie. Di questo si occupa la medicina di genere che studia l’influenza biologica del sesso e quella socioculturale del genere sulla fisiologia e sulle patologie umane che colpiscono sia gli uomini sia le donne.

“Dai dati epidemiologici, sappiamo con certezza che la maggior parte delle malattie autoimmuni sono nettamente prevalenti nelle donne piuttosto che negli uomini. Per esempio, nel lupus eritematoso sistemico il rapporto tra donne e uomini può essere di 9 a 1 e nell’artrite reumatoide di 3 a 1. Gli ormoni sessuali contribuiscono, almeno in parte, a questa differenza: gli estrogeni, ormoni sessuali femminili, sembrano stimolare di più l’autoimmunità – interviene il prof. Vincenzo Bruzzese, past president di SIGR – Per quanto riguarda l’aspetto terapeutico, la situazione non è ben delineata poiché ancora non ci sono trial clinici controllati che evidenzino la maggiore o minore efficacia dei farmaci biotecnologici a seconda del sesso. Allo stesso modo, negli studi registrativi andrebbe valutato se e quali effetti avversi ai farmaci siano prevalenti negli uomini o nelle donne, considerando la differente risposta metabolica ai farmaci nell’assorbire ed eliminare i principi attivi in essi contenuti”.

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Prof. Bruno Laganà

“Negli ultimi anni sono stati pubblicati alcuni studi che suggeriscono differenze significative tra donne e uomini in risposta ai farmaci biologici usati nella terapia di patologie infiammatorie croniche quali le malattie reumatiche e le malattie infiammatorie croniche intestinali – spiega la dott.ssa Marina Pierdominici (Centro di Riferimento per la Medicina di Genere, Istituto Superiore di Sanità) nella sua relazione al 5° Congresso nazionale della SIGR Società Italiana di Gastro Reumatologia a Roma dal 12 al 13 ottobre – Nell’artrite reumatoide, nella spondiloartrite assiale e nell’artrite psoriasica,per esempio, il genere sembra essere un importante fattore predittivo di risposta ai farmaci anti-TNFa: gli uomini rispetto alle donne presentano una risposta migliore e più rapida. Nella rettocolite ulcerosa, il genere femminile è stato associato con un aumentato tasso di remissione in risposta al trattamento con anti-TNFa mentre dati contrastanti sono stati pubblicati per quanto riguarda il morbo di Crohn. Purtroppo, al momento pochi farmaci riportano indicazioni su differenze di genere nelle schede tecniche”.

“Il diverso outcome di risposta ai farmaci biologici nei pazienti affetti da patologie gastro-reumatologiche, suggerito da alcuni studi riportati, indica la necessità di ulteriori ricerche sull’argomento e in questo ambito si inserisce la collaborazione tra la SIGR e il Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità – sottolinea il presidente di SIGR, prof. Bruno Laganà – Lo studio di marcatori ‘genere-specifici’ predittivi di risposta al trattamento con farmaci biologici nelle malattie gastro-reumatologiche potrebbe contribuire a ‘confezionare’ per uomini e donne la terapia ‘su misura’ più appropriata, ottimizzandone così l’uso in termini di costi e benefici”.

In generale, le donne sono maggiori consumatrici di farmaci e rispondono in maniera diversa rispetto agli uomini ai trattamenti farmacologici. Le donne hanno un peso corporeo medio inferiore rispetto all’uomo, una percentuale di massa grassa più alta, un minore volume plasmatico.
Queste differenti caratteristiche hanno importanti conseguenze sull’assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione di un medicamento e quindi dovrebbero essere considerate nelle varie fasi di sviluppo di un farmaco. In Europa, la European Medicines Agency (EMA) ha indicato nelle proprie linee guida per l’arruolamento negli studi clinici la necessità di utilizzare campioni rappresentativi di popolazione, includendo il genere.

In Italia, una legge approvata recentemente (“Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute”, 11 gennaio 2018), all’articolo 1, indica la necessità di condurre gli studi clinici di fase I, che hanno lo scopo di fornire una prima valutazione della sicurezza e tollerabilità del medicinale, con un approccio metodologico di medicina di genere.

“Finora, le donne sono state sottorappresentate nelle sperimentazioni cliniche sia dal punto di vista quantitativo (numero di donne arruolate rispetto al numero di uomini) sia qualitativo (analisi dei dati rispetto al genere) – conclude la dott. Pierdominici – Ad oggi, i farmaci sono stati studiati principalmente su un tipo di maschio ‘ideale’ per lo più giovane, bianco e sui 70 kg di peso. Da qui, la necessità di modificare l’approccio nella sperimentazione clinica dei medicinali”.

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