Il Piano Nazionale Cronicità, a quasi tre anni dall’approvazione, è realizzato in via parziale e solo in alcune Regioni, seppur da molti sia stato considerato il potenziale vero spending review della sanità
Bari, 9 luglio 2020 – Fibrillazione atriale, BPCO e diabete, tra le patologie croniche a maggior diffusione, costano 700 miliardi di euro l’anno in Europa e in Italia affliggono 24 milioni di persone.
Con lo scopo di rendere omogeneo l’accesso alle cure da parte dei cittadini, garantendo gli stessi livelli essenziali di assistenza, armonizzando a livello nazionale tutte le attività, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, arriva in Puglia il “Roadshow cronicità. Gli scenari post Covid-19”, serie di appuntamenti regionali, realizzati da Motore Sanità, che vedono il coinvolgimento dei massimi esperti del modo sanitario regionale, insieme ad istituzioni e associazioni di pazienti.
Parallelamente al verificare lo stato di attuazione del Piano Nazionale Cronicità da parte del Ministero della Salute, che ha attivato un monitoraggio per mappare il livello di stratificazione della popolazione, di integrazione tra assistenza ospedaliera e territoriale, di adozione e attuazione dei percorsi diagnostico-terapeutici, l’innovazione organizzativa dovrebbe essere responsabilità di ogni Regione e dovrebbe essere realizzata attraverso condivisi e monitorati PDTA.
“La BPCO rappresenta la causa più comune di insufficienza respiratoria cronica e di invalidità respiratoria ed entro il 2030 diventerà la terza causa di morte nel mondo. Le stime di prevalenza della BPCO nella popolazione generale sono del 4-6%: 3 milioni sono gli italiani che soffrono di BPCO e circa 250-300 mila sono in Puglia. I costi in Italia legati a questa patologia sono di circa 6 miliardi di euro con un costo pro-capite di circa 2.000 euro. Il mancato o improprio utilizzo della terapia inalatoria è responsabile dell’aumento di circa il 20% delle riacutizzazioni anche gravi con conseguente raddoppio dei costi diretti e indiretti quali farmaceutica, ricoveri ospedalieri, perdita di giornate lavorative, impegno di caregiver, etc. La gestione del paziente BPCO può essere ottimizzata solo con una efficace integrazione tra le istituzioni politico sanitarie, l’ospedale, il distretto, i medici di medicina generale, le società scientifiche e le aziende farmaceutiche allo scopo di migliorare l’appropriatezza diagnostico terapeutica della malattia e di conseguenza di ridurne i costi”, ha spiegato Maria Pia Foschino Barbaro, Direttore Medicina Specialistica Malattie Respiratorie Ospedali Riuniti AOU Foggia.
“La fibrillazione atriale è una aritmia molto diffusa con una prevalenza che passa dal 5% all’età’ di 60 anni Fino al 15% dopo gli 80. La minacciosità dell’aritmia è correlata alla elevata probabilità che induca ictus, a volte mortale. Nella maggior parte dei casi provoca gravi sintomi come cardiopalmo associato a panico, per paura di morte, ed induce a controlli medici che la confermano e permettono ai medici la prescrizione di farmaci anticoagulanti per prevenire l’ictus. Purtroppo, in alcuni casi la fibrillazione atriale determina sintomi sfumati, cui non seguono controlli medici, e provoca ictus in modo inatteso. La tecnologia di Monitoraggio prolungato con mezzi diagnostici che vanno dall’uso di sfigmomanometri specifici ad orologi in grado di registrare l’elettrocardiogramma, fino a piccoli dispositivi impiantabili che trasmettono l’ECG al cardiologo di riferimento hanno acquisito un grande ruolo nella prevenzione dell’ictus cardio embolico. La promozione del telemonitoraggio consentirebbe una rilevante riduzione della prevalenza di ictus cardio embolico nella popolazione ultrasessantenne”, ha detto Stefano Favale, Direttore UO Cardiologia AOU Consorziale Policlinico “Giovanni XXIII”, Bari.
“L’epidemia Covid-19 e la situazione di emergenza che ne è derivata hanno rappresentato un momento di crisi complessiva della società civile e quindi di profonda riflessione per molti ambiti professionali. Nel tempo dell’epidemia Covid-19, l’endocrinologo deve continuare a gestire pazienti con patologie croniche, come il diabete, che richiedono periodici aggiustamenti della terapia farmacologica. In questo tempo dell’epidemia Covid-19 abbiamo dovuto effettuare una “spending review” della nostra attività clinica, selezionando le situazioni che richiedono un intervento immediato e non differibile, e rinviando le altre a tempi auspicabilmente migliori. Per molti pazienti è stata implementata la telemedicina, con procedure anche innovative di teleconsulto e teleassistenza. La SIE, insieme alla Società Italiana di Diabetologia (SID) e alla Associazione Medici Diabetologi (AMD), ha promosso una serie di iniziative finalizzate a ridurre il rischio di contrarre l’infezione Covid-19 nei pazienti affetti da diabete mellito. Come ricordato, si tratta di una patologia che può rendere più negativo il decorso dell’infezione associandosi più frequentemente a outcome avversi come l’ospedalizzazione, la necessità di terapia intensiva e l’exitus. Al fine di ridurre la necessità per i pazienti diabetici di recarsi presso strutture di endocrinologia e diabetologia, è stata richiesta e ottenuta presso l’AIFA l’estensione della validità dei piani terapeutici per i farmaci antidiabete, riconosciuta nelle singole Regioni. È stata poi messa a punto una procedura per la realizzazione in remoto delle visite di controllo ambulatoriali programmate, procedura riconosciuta dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e già implementata con successo in alcuni centri del nostro Paese. Queste azioni hanno assicurato un adeguato riscontro al bisogno di salute per migliaia di persone senza esporle al rischio di contagio. L’accelerazione digitale di cui si sta facendo esperienza dovrà tuttavia prevedere il perfezionamento logistico, tecnologico e amministrativo delle procedure di telemedicina. Andrà altresì documentato il rapporto di rischio/beneficio e andranno anche valutati i costi e i possibili risparmi legati alle procedure telematiche, rispetto alle procedure in presenza, per prevederne un possibile utilizzo e una adeguata collocazione in tempi che non siano quelli dell’emergenza sanitaria”, ha dichiarato Francesco Giorgino, Professore Ordinario Dipartimento Emergenza e Trapianti Organi (DETO) presso Università “Aldo Moro” di Bari.