Uno studio dell’Università Statale di Milano ha confrontato la stimolazione cerebrale profonda con la stimolazione automatica adattiva realizzata nei laboratori dell’ateneo milanese, evidenziando come la DBS adattiva abbia un effetto migliore su alcuni sintomi motori della malattia. I risultati pubblicati su Nature – NPJ Parkinson
Milano, 12 ottobre 2021 – La stimolazione cerebrale profonda (o DBS, da Deep Brain Stimulation), introdotta negli anni ’90 dello scorso secolo, è una metodica per il trattamento della malattia di Parkinson quando la terapia farmacologica non riesce a controllarla. La DBS prevede la stimolazione costante di una struttura profonda del cervello attraverso un elettrodo impiantato chirurgicamente e connesso ad un pace-maker sotto la pelle vicino alla clavicola.
Da circa 20 anni nei laboratori dell’Università degli Studi di Milano si sta lavorando per sviluppare e mettere a punto un sistema per la stimolazione “automatica”, ovvero che si adatta momento per momento alle esigenze del paziente a seconda se dorme, è sveglio, cammina e a seconda dell’effetto della terapia in un dato momento della giornata. La stimolazione automatica è nota anche come “DBS adattativa” proprio in quanto si adatta momento per momento alle esigenze del paziente.
Uno studio appena pubblicato sul Nature – NPJ Parkinson (Bocci et al 2021) condotto da un gruppo di ricercatori della Statale di Milano, coordinato da Alberto Priori, docente di Neurologia, svolto in collaborazione con Newronika, azienda spin-off di Ateneo, ASST Santi Paolo e Carlo, il Policlinico di Milano, l’Università di Wurzburg, l’Università di Toronto e quella di Grenoble, ha inteso confrontare gli effetti della DBS adattativa con quelli della DBS convenzionale in 8 pazienti affetti da Malattia di Parkinson che erano liberi di muoversi in ospedale.
I risultati della ricerca dimostrano che la stimolazione automatica consente non solo il risparmio di corrente e della batteria ma, soprattutto, ha un effetto migliore su alcuni sintomi motori di malattia, come la rigidità e le discinesie, valutati sistematicamente nel corso di un’intera giornata di osservazione.
Tommaso Bocci, ricercatore di Neurologia della Statale e primo autore dell’articolo, aggiunge che “questo è il primo studio che ha comparato direttamente nello stesso paziente gli effetti della metodica convenzionale con quella adattativa o automatica da noi messa a punto per un periodo così prolungato di tempo. I dati ricavati sono molto importanti in quanto confermano in modo ancora più solido la superiorità della metodica adattativa per la stimolazione cerebrale profonda nei pazienti affetti da malattia di Parkinson, non solamente sulle fluttuazioni motorie, ma anche su alcuni sintomi cardine di malattia quale la rigidità muscolare”.