A cura del prof. Sergio Della Sala, presidente del Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze – CICAP
Padova, 23 giugno 2021 – Il 7 giugno scorso un farmaco per il trattamento della Malattia di Alzheimer è stato approvato per la commercializzazione dall’agenzia che regolamenta i farmaci USA, la “Food and Drug Administration” – FDA. Si tratta di un anticorpo monoclonale interamente umano, prodotto dalle case farmaceutiche Biogen e Eisai, somministrato per iniezione, che si chiama aducanumab (nome commerciale Aduhelm).
La terapia che tutti aspettavamo! Questa decisione è stata accolta favorevolmente dalla Società Italiana di Neurologia e salutata come svolta storica dall’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer, ma è stata ritenuta “intellettualmente insultante” da altri ricercatori e osservatori.
Ho studiato gli effetti cognitivi della Malattia di Alzheimer per oltre 40 anni della mia vita professionale. Prima come neurologo clinico e poi come neuroscienziato accademico. Ho visto l’imbarazzo, l’angoscia, la paura, la rabbia, la disperazione e poi l’apatia e l’assenza negli occhi dei pazienti. Ho ascoltato la sofferenza, lo scoramento, l’incomprensione e la solitudine dei loro familiari; li ho ammirati per la loro abnegazione e per la loro sollecitudine, che si trasformava in sconcerto, in capitolazione, in insanabile dolore intimo. Impotente.
La speranza per una terapia che fermi la progressione della malattia, pur frustrata da promesse non mantenute e innumerevoli fallimenti, è rimasta sempre viva. Per questa ragione, sono stato felice per l’annuncio dell’approvazione dell’aducanumab.
La mia gioia però è stata notevolmente affievolita dalla procedura seguita per l’approvazione, dai conflitti che hanno caratterizzato la procedura, dall’analisi dei dati disponibili, dalle dimissioni per protesta di alcuni membri del comitato scientifico della stessa FDA e dal prezzo esorbitante dettato dall’industria farmaceutica. Non è raro che idee ragionevoli e programmi basati su dati preliminari promettenti si scontrino con risultati clinicamente non significativi.
Il trattamento si basa sull’idea che una proteina che si accumula nel cervello delle persone affette da Malattia di Alzheimer, e che si chiama Beta-Amiloide, sia la causa della malattia, e che l’aducanumab sia in grado di contrastarla.
Non tutti i ricercatori sono concordi nel ritenere che questa sia la via maestra per cercare una terapia farmacologica che contrasti la progressione della malattia. Ma in questa sede non ci interessa tanto la discussione nel merito, quanto quella sul metodo.
La FDA ha approvato l’uso del farmaco con una procedura accelerata. Questa procedura d’urgenza si usa quando ci sono elementi per presupporre miglioramenti significativi della salute pubblica, che sarebbe opportuno non rinviare nonostante vi siano incertezze sull’efficacia clinica. È la procedura usata per approvare i vaccini anti-Covid-19.
La rapidità nell’approvazione dei vaccini era oltremodo giustificata, anche se gli Stati Uniti hanno chiamato la loro ricerca vaccinale Operation Warp Speed, che suona più come una storia di James Bond che come un percorso scientifico. Ma adesso la velocità è entrata a far parte della nostra concezione della scienza, che invece ha tempi lenti per poter accumulare evidenze solide.
Anche perché prima di approvare l’uso commerciale di un farmaco, sarebbero opportuni studi indipendenti che riproducano gli effetti positivi dichiarati dalle case farmaceutiche. Per esempio, un altro farmaco che nel recente passato è stato somministrato per alleviare gli effetti cognitivi della Malattia di Alzheimer, il donepezil, dimostrava effetti molto più marcati negli studi finanziati dalle case farmaceutiche che in quelli indipendenti.
La decisione della FDA alimenta speranze perché sembra offrire una soluzione terapeutica per una malattia devastante per la quale non esistono farmaci efficaci, ma desta preoccupazione per l’approvazione di un farmaco, basata su dati ambigui, con risultati clinicamente poco rilevanti, e contro il parere degli stessi esperti della FDA.
In situazioni di incertezza, come quella sull’efficacia clinica degli anticorpi monoclonali anti beta-amiloide per tutti i pazienti affetti da Malattia di Alzheimer, sempre di più le decisioni delle agenzie dei farmaci sembrano guidate da opportunità politiche piuttosto che dalla richiesta di dati solidi. Questo potrebbe influire anche sul metodo di valutazione di future.
Ne “Il Rosso e il Nero”, Stendhal scriveva che “La politica nella letteratura è come un colpo di pistola nel bel mezzo di un concerto”; lo stesso si può dire per la scienza. Vale la pena di irrompere con considerazioni politiche nel meraviglioso percorso di costruzione della conoscenza della scienza per rincorrere utilitarismi basati su evidenze dubbie e su percorsi metodologicamente eccepibili?