Roma, 22 maggio 2023 – Una delle emergenze con le quali gli esperti dovranno confrontarsi sempre più spesso nei prossimi anni, è la degenerazione maculare legata all’età, che attualmente interessa oltre 1milione di italiani che hanno un ‘buco’ al centro del campo visivo: per loro leggere è quasi impossibile, guidare un’utopia e anche camminare e andare a fare la spesa un’impresa.
Un panorama destinato a cambiare nel prossimo futuro grazie all’arrivo di nuovi farmaci e di innovative strategie di intervento su cui gli esperti hanno fatto il punto nel corso del 2° Congresso Nazionale della Società Italiana di Scienze Oftalmologiche (S.I.S.O.) che si è svolto a Roma.
Le patologie della macula
“La maculopatia è una patologia che compromette in maniera significativa la qualità di vita dei pazienti ed è molto diffusa: riguarda il 2% degli italiani e aumenta al crescere dell’età – osserva Stanislao Rizzo, direttore della Clinica Oculistica del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCSS, professore ordinario di Oculistica presso Università Cattolica e membro del Consiglio direttivo S.I.S.O. – È ormai una malattia sociale e rappresenta la causa più frequente di ipovisione e disabilità visiva dopo i 50 anni, nel mondo occidentale. Ne esistono due forme, quella ‘secca’, la più comune (circa il 90% di tutte le forme), e quella umida o essudativa. La maculopatia umida fino a qualche anno fa non era considerata curabile ma i progressi terapeutici degli ultimi anni hanno consentito di rallentarne notevolmente la progressione e di ridurne la evoluzione”.
“Purtroppo – mette in guardia l’esperto – molti pazienti arrivano alla diagnosi in ritardo perché non si sottopongono a visite oculistiche di controllo dopo i 50 anni e perché trascurano i sintomi iniziali, costituiti principalmente dalla visione un po’ distorta delle immagini: se l’altro occhio è sano, accade di non accorgersene subito e il disturbo progredisce, fino ad arrivare alla comparsa di una macchia scura potenzialmente irreversibile e indistinta in mezzo al campo visivo. L’obiettivo della ricerca di questi ultimi anni è stato perciò trovare farmaci che potessero essere più efficaci nel ritardare la progressione della perdita visiva agendo anche su altri fattori di crescita coinvolti, e che rendessero più agevole la cura, riducendo la necessità di somministrazioni intravitreali”.
In arrivo nel 2023 nuovo farmaco contro maculopatia ‘secca’
La maculopatia secca è dovuta alla formazione di depositi giallastri sotto la macula con atrofia del tessuto retinico e la riduzione della visione centrale è in genere più graduale e lentamente progressiva. È attesa per quest’anno l’approvazione da parte dell’EMA, a seguito dell’ok della FDA di qualche mese fa, di un nuovo farmaco, Pegcetacoplan, una terapia attualmente in uso per i pazienti con una rara malattia del sangue.
“Nei pazienti con maculopatia secca, nelle forme più avanzate, al momento orfane di terapie, il farmaco, iniettato per via intravitreale – spiega Rizzo – va ad inattivare il meccanismo di infiammazione che è mediato dalla “cascata del complemento”, ovvero una serie concatenata di eventi infiammatori responsabili della degenerazione fotorecettoriale. Il farmaco potrebbe rallentarne l’evoluzione senza purtroppo restituire la vista. I trials di fase I (Filly), II e III (OAKS e DERBY) hanno mostrato una regressione delle aree di atrofia retinica a fronte di buoni profili di sicurezza”, sottolinea l’esperto.
In arrivo nel 2023 anticorpi monoclonali a “doppio bersaglio” e “ricaricabili” nell’occhio contro maculopatia umida
La maculopatia ‘umida’ è causata da una crescita anomala di neovasi sotto la macula, la parte centrale della retina responsabile della visione fine e la compromissione della vista in questa forma può avvenire in modo repentino. La terapia della forma umida da qualche anno si avvale di farmaci molto potenti diretti contro un fattore di crescita che facilita la proliferazione dei neovasi nella regione maculare.
Sono le cosiddette terapie anti-VEGF che vengono somministrate direttamente nell’occhio (iniezioni intravitreali) in maniera continuativa, in genere una volta al mese, con notevole impegno di tempo anche da parte del paziente.
“Sono però finalmente in arrivo terapie innovative, sempre più potenti e a lunga durata di azione, che ci consentiranno di allungare gli intervalli di trattamento – dichiara Francesco Bandello, direttore Clinica Oculistica Vita-Salute San Raffaele di Milano e membro del Consiglio Direttivo S.I.S.O. – È il caso del nuovo anticorpo faricimab, disponibile da pochi mesi e a breve rimborsabile dal Servizio Sanitario Nazionale. Questo è il primo anticorpo bispecifico, cioè a “doppio bersaglio” perché oltre ad agire come anti VEGF colpisce anche un secondo importante bersaglio cioè l’angipoietina-2, un’altra sostanza che concorre ad aumentare la formazione di nuovi vasi, contribuendo in questo modo a migliorare la stabilità vascolare e a ridurre la risposta dei vasi ai VEGF”.
Arriverà anche in Italia, sempre nel 2023, contro la maculopatia senile umida e l’edema maculare diabetico, anche un anticorpo monoclonale anti VEGF già utilizzato, ranibizumab, inserito in un piccolo serbatoio ricaricabile, impiantato nella parete dell’occhio e che eroga quotidianamente piccole quantità di farmaco.
“L’innovativa strategia terapeutica è quella di impiantare chirurgicamente nell’occhio piccoli serbatoi che rilasciano gradualmente il farmaco all’interno. Questo potrebbe estendere l’intervallo di ritrattamento a sei mesi, semplicemente facendo il refill del serbatoio e riducendo così il numero delle iniezioni necessarie all’anno”.
I dati mostrano che quasi tutti i pazienti (98%), possono lasciare passare un intervallo di 6 mesi fra un refill e l’altro, con la stessa efficacia terapeutica del trattamento mensile intravitreale del farmaco. Anche per quanto riguarda l’impiego di faricimab, recenti studi pubblicati anche su The Lancet, confermano che nel 60% dei pazienti può essere somministrato ogni 4 mesi, anziché 2 come l’attuale standard terapeutico. I nuovi trattamenti aggiungono quindi un vantaggio: l’estensione dell’intervallo tra le somministrazioni, riducendo il numero delle iniezioni.
Da terapia genica speranze di cura anche per il trattamento delle malattie retiniche croniche
La terapia genica è la terapia più avanzata, costituisce una grande risorsa per il trattamento di alcune patologie retiniche rare, e si va affermando sempre di più.
“È ormai consolidata e approvata – afferma il prof. Rizzo – la terapia genica per una forma di distrofia retinica ereditaria, l’Amaurosi congenita di Leber (LCA), mentre sono attualmente in corso trial clinici con terapia genica per altre varianti di retinite pigmentosa, la sindrome di Usher, e la malattia di Stargardt. Si tratta di patologie per le quali i ricercatori sono riusciti a individuare un gene ‘difettoso’ specifico che impedisce a determinate cellule retiniche di funzionare correttamente, causando problemi alla vista che possono peggiorare nel tempo. Con la terapia genica, questi geni ‘difettosi’ vengono sostituiti con copie sane, che vanno così a correggere l’errore che ha scatenato la malattia, potenzialmente per tutta la vita”.
Grazie ai progressi della scienza e della tecnologia medica, la terapia genica potrà presto essere utilizzata anche contro alcune gravi patologie oculari e non solo per correggere malattie ereditarie.
“È allo studio anche una terapia genica per il trattamento della maculopatia senile umida, per la retinopatia diabetica e altre malattie retiniche croniche. In questi casi non si tratta di sostituire un gene malato né di correggere un difetto, ma di modificare il genoma delle cellule retiniche inducendole a produrre sostanze anti VEGF, quelli stessi farmaci che finora abbiamo iniettato dall’esterno una volta al mese”.
Da intelligenza artificiale un aiuto per la diagnosi di retinopatia diabetica
Nuove possibili applicazioni per la diagnosi di patologie retiniche potrebbero arrivare dall’impiego dell’Intelligenza artificiale. In un trial clinico italiano, condotto in Piemonte, è stata dimostrata l’efficacia di uno specifico algoritmo, Dairet (Diabetes Artificial Intelligence for RETinopathy), per lo screening di primo livello della retinopatia diabetica, complicanza che interessa il 30% dei pazienti diabetici.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Diabetes & Obesity International Journal, ha dimostrato un’elevata efficacia dell’algoritmo nel rilevare i casi lievi e moderati di retinopatia, con un rapporto di sensibilità, ossia di capacità di individuazione dei casi, pari al 91,6% per la retinopatia lieve e al 100% per la retinopatia moderata.
Anche la specificità del test, cioè la capacità di identificare correttamente i soggetti sani, è risultata molto alta, con un rapporto di specificità pari all’82,6%, quindi con basso tasso di falsi positivi.