L’ematologia del Niguarda Cancer Center tra i centri di riferimento per la cura di questa malattia rara che colpisce in particolar modo gli uomini in tarda età. Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine
Milano, 8 giugno 2018 – 150 pazienti coinvolti in una sperimentazione clinica su scala mondiale con 45 centri ematologici coinvolti in 9 diversi paesi. Sono le cifre in chiaro dello studio di fase 3 appena pubblicato sul New England Journal of Medicine.
L’ematologia di Niguarda è tra i centri che hanno contribuito con il maggior numero di pazienti arruolati e il trial ha avuto come obiettivo quello di indagare un nuovo protocollo terapeutico per pazienti affetti da una patologia rara, la Macroglobulinemia di Waldenstrom.
I risultati sanciscono un miglior esito in termini di sopravvivenza libera da progressione di malattia per il gruppo di pazienti sottoposti alla combinazione terapeutica ibrutinib-rituximab (il primo farmaco appartiene alla classe delle cosiddette “piccole molecole”, il secondo rientra nell’ambito dell’immunoterapia ed è un anticorpo monoclonale).
“Negli ultimi anni il panorama terapeutico della Macroglobulinemia di Waldenstrom si è radicalmente modificato grazie all’individuazione di un’alterazione genetica che è presente nella quasi totalità dei pazienti affetti da questa patologia, la mutazione MYD-88 – spiega l’ematologa di Niguarda, Alessandra Tedeschi, tra gli autori della pubblicazione – Come conseguenza di questa mutazione le cellule tumorali hanno un vantaggio proliferativo che può essere bloccato da un farmaco bersaglio denominato ibrutinib”.
In base agli studi più recenti, si ritiene che la Macroglobulinemia di Waldenstrom origini da uno specifico tipo di cellula del sistema immunitario chiamata “cellula B memoria”. Ad oggi l’ibrutinib è l’unico farmaco specificamente approvato nel mondo per la Macroglobulinemia di Waldenstrom e in Italia è possibile trattare con ibrutinib solo i pazienti che sono incorsi in una ricaduta della malattia o che hanno dimostrato una refrattarietà ad una terapia di prima linea (come ad esempio rituximab o la chemioterapia).
L’approvazione di ibrutinib si è basata sui risultati di un trial condotto in precedenza negli Stati Uniti nel quale erano stati trattati in monoterapia un numero relativamente basso di pazienti.
Lo studio appena pubblicato sul New England rappresenta un’evoluzione significativa nel panorama di cura. “Innanzitutto prende in considerazione un numero più ampio di pazienti ma soprattutto è metodologicamente importante dal momento che i pazienti sono stati randomizzati (divisi in due gruppi e assegnati casualmente) fra trattamento con ibrutinib in combinazione a rituximab e pazienti trattati con solo rituximab – spiega Tedeschi – L’ibrutinib in combinazione con il rituximab ha dimostrato di essere molto più efficace rispetto al rituximab in monoterapia sia in termini di risposta sia in termini di sopravvivenza libera da progressione. I risultati a 30 mesi dall’inizio dei trattamenti sono incontrovertibili con un tasso di sopravvivenza libera da progressione della malattia pari all’82% per la combinazione ibrutinib-rituximab contro il 28% per la monoterapia (solo rituxumab). La combinazione, inoltre, amplia il tempo di risposta alle terapie per i pazienti che presentano la forma più grave di malattia, quella con alterazione molecolare CXCR4”.
La Macroglobulinemia di Waldenstrom fa parte dei linfomi non Hodgkin a basso grado di malignità. La diagnosi non di rado è occasionale e avviene a seguito di controlli ematici che il paziente effettua routinariamente.
“La malattia, una volta diagnosticata, può rimanere ‘asintomatica’ anche per molti anni – indica l’ematologa – I sintomi più comuni sono quelli tipici di qualsiasi forma di linfoma: ingrossamento della milza o dei linfonodi, sintomi costituzionali come febbre, perdita di peso e sudorazioni profuse la notte”.
Inoltre, nella Macroglobulinemia di Waldenstrom, a causa della presenza di una elevata quantità di immunoglobuline M (le IgM, prodotte dalle cellule B) circolanti, vi possono essere dei sintomi correlati ad un incremento della viscosità del sangue. La terapia deve essere intrapresa solo quando la malattia diventa sintomatica.
Considerati gli ottimi risultati dello studio e la lunga durata della risposta è prevedibile che vi sia quanto prima una approvazione della terapia con ibrutinib in associazione a rituximab per questa patologia che in Italia registra mediamente ogni anno circa 250 nuovi casi. Sono i maschi ad essere più interessati con un’età di esordio media di 73 anni.
Il reparto di Ematologia del Niguarda è uno dei poli più attivi a livello internazionale per lo studio e la ricerca di questa particolare forma di neoplasia. Al Niguarda attualmente sono seguiti 200 pazienti.