Arezzo, 10 luglio 2020 – Sono giovani. Uniti dalla passione per la medicina e dall’impegno contro il Covid. Armeni e italiani nei 3 ospedali di Yerevan. David Redi, medico di malattie infettive di Arezzo, è uno di loro e fa parte del gruppo di medici e infermieri, per lo più piemontesi, dell’EMT-2-Italia. Responsabile della missione è Mario Raviolo.
“Io sono stato destinato nell’ospedale più grande della capitale. Lavoriamo ma anche raccontiamo e spieghiamo la nostra organizzazione ad Arezzo e in Italia. Siamo passati dalla corsia all’‘aula’ in modo naturale, lavorando fianco a fianco ogni giorno e mettendo a confronto i nostri studi e le nostre esperienze”.
David Redi racconta i suoi colleghi armeni: “qui l’età media dei medici è più bassa che da noi. Si va dai 30 ai 50 anni e quindi sono in grande parte giovani . Fatta eccezione per chirurgia e rianimazione, la maggioranza dei medici sono donne. C’è una grande curiosità professionale e non solo sul tema Covid. E quello che interessa loro è la nostra diversità: loro hanno protocolli più standardizzati per i pazienti mentre i nostri sono più flessibili e personalizzati”.
Il dialogo e la formazione in aula si trasforma presto in un confronto sui singoli casi. “Una nefrologa mi ha chiesto un consiglio su un paziente. Ho fatto una valutazione diversa dai loro protocolli sul dosaggio di un medicinale e lei è stata d’accordo con me. Il paziente ha reagito bene. Esperienza analoga anche con una cardiologa. Sto vedendo una giovane classe medica non solo preparata ma anche interessata e aperta ad altre esperienze”.
Il confronto finisce in ospedale. “In città non ci sono le misure di prevenzione che sono state adottate in Italia e quindi, fuori dall’ospedale, noi medici italiani rimaniamo per conto nostro. È una precauzione che limita i nostri rapporti esterni ma che riteniamo doverosa”.
David Redi, 33 anni, nativo di Monte San Savino, ha già in tasca il biglietto di ritorno. Porta la data del 17 luglio. Quel giorno avrà trascorso 3 settimane in Armenia. “Quando tornerò a casa, porterò con me il ricordo della voglia di confronto e di crescita che ho visto nei colleghi armeni con i quali è stato bello discutere insieme i casi clinici per ottenere il meglio per ogni paziente. Ieri una collega di Yerevan ha preso il suo smartphone per fare una foto di gruppo. Sullo sfondo aveva l’immagine di una bambina, sua figlia di 3 anni e mezzo, la stessa età di mia figlia. Mi ha detto che è un mese che non la vede perché ha paura di trasmetterle il Covid-19. Mi ha chiesto come avevo fatto con le mie bimbe e io le ho detto che tornavo tutti i giorni a casa per stare con loro e che la paura del Covid era tanta anche per me, ma senza la forza della mia famiglia non sarei riuscito ad andare avanti. Le ho detto che queste 3 settimane lontano da loro sono per me un grande sacrificio”.