Oggi non abbiamo test sul sangue validati che permettono già nella popolazione generale la diagnosi precoce di tumore. Il presidente AIOM Carmine Pinto: “Attualmente sono utilizzati nella pratica quotidiana solo per i pazienti con diagnosi già accertata di carcinoma del polmone per la scelta di una terapia a target molecolare. L’informazione e i media sono importanti nella lotta al cancro. È indispensabile che le notizie diffuse siano supportate da evidenze scientifiche”
Milano, 2 maggio 2017 – “Le notizie diffuse dai media ed in particolare da quelli pubblici, per il loro peso, hanno un ruolo importante nella corretta informazione dei cittadini e dovrebbero garantire a tutti la conoscenza di notizie sui temi relativi alla salute e, in particolare, al cancro supportate da chiare evidenze scientifiche. Non è possibile indicare un anno in cui sconfiggeremo i tumori: si tratta di una lotta che viene combattuta ogni giorno, grazie alla prevenzione, alla ricerca scientifica e alle nuove terapie. È fuorviante, soprattutto se lo strumento utilizzato è il servizio pubblico, far credere ai cittadini che basti un semplice test del sangue per individuare in anticipo la malattia e sconfiggerla prima che si manifesti”.
Il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), esprime preoccupazione per i contenuti della puntata di “Porta a Porta” andata in onda ieri sera su Rai1 in cui è intervenuta l’oncologa Patrizia Paterlini-Bréchot, docente di biologia cellulare e molecolare all’Università Paris-Descartes, che avrebbe realizzato un test per la diagnosi precoce del cancro.
“Mancano dati che validino con studi clinici controllati l’impiego di questo tipo di esame nella pratica clinica. Le conclusioni della professoressa Paterlini-Brechot sono infatti basate su di un unico studio pubblicato nel 2014 da un gruppo francese – continua il prof. Pinto – L’individuazione di marcatori precoci di rischio è un tema rilevante della ricerca oncologica. Una delle strade percorse si basa sull’individuazione di geni difettosi che possano predisporre allo sviluppo del tumore. Si parte cioè dal principio che la probabilità di sviluppare la malattia sia già scritta nel nostro DNA molti anni prima della diagnosi. Ma, a oggi, si tratta di un interessante e promettente settore di ricerca non ancora supportato da evidenze per l’utilizzo in sanità pubblica”.
Meno del 2% della popolazione è portatore di mutazioni con sindromi ereditarie a rischio di sviluppare il cancro. “E proprio in questi casi – conclude il prof. Pinto – vi sono test genetici offerti gratuitamente, in strutture specializzate e secondo precisi protocolli, a chi ha già avuto fra i parenti più stretti un certo numero di casi di cancro (e solo per i tumori del seno, ovaio e colon) che indicano la presenza di ereditarietà genetica”.
fonte: ufficio stampa