La scoperta sarà illustrata il 15 aprile a Lecce durante il XVI convegno di medicina sul tema di “Le alterazioni endocrine nel soggetto obeso: dall’infertilità all’osteoporosi”. L’equipe padovana: “Le conseguenze cliniche sono infertilità e ipogonadismo nell’uomo obeso e rischio oncologico nella donna”
Padova, 14 aprile 2023 – Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il numero di bambini e adolescenti obesi tra i 5 e 19 anni nel mondo è aumentato di 10 volte negli ultimi 40 anni. Attualmente in Europa il 59% degli adulti e quasi 1 bambino su 3 è in sovrappeso od obeso, e in Italia la situazione non è migliore: il 43% degli adulti ha un eccesso ponderale, con punte del 49% in Puglia.
E non va certamente meglio nella popolazione infantile: sulla base dell’Indagine di OKKio alla Salute, tra i bambini della Puglia, il 4,8% risulta in condizioni di obesità grave, il 10,3% risulta obeso, il 21,6% in sovrappeso, quindi più di un bambino su tre non è normopeso.
L’obesità aumenta il rischio di molte malattie non trasmissibili, inclusi tumori, malattie cardiovascolari, diabete mellito di tipo 2 e malattie respiratorie croniche, e se l’obesità inizia in età infantile, il rischio di patologie in età adulta è ancora maggiore. La patogenesi di molte di queste patologie nel soggetto obeso è condivisa con la riduzione della vitamina D, ormone fondamentale per la salute dell’osso e non solo, che si riscontra frequentemente nel soggetto obeso e che a sua volta può essere concausa di alcune patologie associate all’obesità come infertilità maschile e tumore al seno.
Il gruppo di ricerca coordinato dal prof. Carlo Foresta e dott. Andrea Di Nisio in collaborazione con l’Unità di Andrologia e Medicina della Riproduzione, diretta dal prof. Alberto Ferlin dell’Azienda Ospedale Università di Padova, ha scoperto che il tessuto adiposo nel paziente obeso cattura la vitamina D circolante nel sangue, che, accumulata nel grasso, non viene più liberata, portando quindi a una pseudo-ipovitaminosi D che si traduce in una iper-vitaminosi nel tessuto adiposo.
È stato infatti calcolato che nel grasso del soggetto obeso è accumulato l’equivalente di vitamina D che viene normalmente somministrata in 2000 giorni di trattamento raccomandato. Per la prima volta, i risultati raggiunti dall’equipe del prof. Foresta dimostrano che l’accumulo di vitamina D nel tessuto adiposo del soggetto obeso altera la funzione dell’adipocita inducendo una maggior espressione e attività dell’enzima aromatasi, che trasforma il testosterone in estrogeno, e determinando quindi una condizione di iper-estrogenismo.
Nel maschio obeso l’aumento degli estrogeni indotto dalle conseguenze dell’accumulo di vitamina D nella cellula adiposa partecipa delle manifestazioni cliniche tipiche dell’obesità (ginecomastia, ridotti livelli di testosterone, infertilità).
Nella donna, i ricercatori padovani, coordinati dalla dott.ssa Maria Santa Rocca e in collaborazione con la day/week surgery multidisciplinare diretta dal prof. Alberto Marchet, studiando il tumore mammario, una delle forme di cancro più diffuse nella popolazione femminile, hanno evidenziato che l’aumento della vitamina D nel tessuto adiposo peri-tumorale si associa a un’elevata espressione dell’enzima aromatasi nelle donne obese, e quindi una maggior concentrazione di estrogeni, coinvolti nella proliferazione tumorale.
La ricerca sarà presentata in anteprima il prossimo 15 aprile a Lecce presso il Mercure Hotel President, a margine del XVI convegno di medicina dal titolo “Le alterazioni endocrine nel soggetto obeso: dall’infertilità all’osteoporosi”.
“In conclusione, gli studi presentati dalla nostra equipe evidenziano nell’obeso una contraddizione tra ridotti livelli plasmatici di vitamina D ed elevate concentrazioni della stessa nel tessuto adiposo, dimostrando che questo fenomeno altera il funzionamento delle cellule adipose – conclude il prof. Foresta – con conseguenze cliniche ben definite come infertilità e ipogonadismo nell’uomo obeso e rischio oncologico nella donna. Pertanto il trattamento dell’ipovitaminosi D nell’obesità dovrebbe prevedere in primo luogo il dimagramento e l’attività fisica, e non un aspecifico sovraccarico farmacologico di vitamina D”.