Lipodistrofia, i pazienti attendono il farmaco disponibile solo in Stati Uniti e Giappone

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Milano, 8 luglio 2017 – Sono 100 in tutta Italia i pazienti affetti da ‘lipodistrofia’, cento persone che per varie cause, non sempre conosciute, perdono grandi quantità di grasso in alcuni distretti del corpo e li accumulano in altri dove non dovrebbero essere. Il dato epidemiologico fa capire che siamo di fronte ad una malattia rara ma non per questo i pazienti non sono degni di risposte terapeutiche. Ecco quindi che gli endocrinologi del CUEM dedicano una lettura proprio a loro e ne fotografano la condizione.

“Le sindromi lipodistrofiche costituiscono un gruppo eterogeneo di malattie caratterizzate dalla perdita più o meno estesa di tessuto adiposo sottocutaneo, in assenza di uno stato di deprivazione nutrizionale o di uno stato di aumentato catabolismo – spiega il prof. Ferruccio Santini dell’Unità Operativa di Endocrinologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pisa – in base all’eziologia, vengono distinte forme genetiche o acquisite e, in base al grado di perdita del tessuto adiposo, forme generalizzate o parziali. Le forme congenite includono sottotipi a trasmissione autosomico recessiva e dominante mentre le forme acquisite possono riconoscere una causa autoimmune”.

Sono caratterizzate da bassi livelli circolanti di leptina, un ormone che regola la composizione corporea, il consumo energetico e l’introito calorico. I pazienti affetti da tali patologie presentano frequentemente molteplici alterazioni ormonali e metaboliche, quali insulino-resistenza con precoce comparsa di diabete mellito, alto livello di trigliceridi e steatosi epatica non alcolica (NAFLD), con un alto rischio di complicanze cardio e cerebrovascolari, spesso fatali, e con una notevole compromissione della qualità di vita, mentre un’altra alterazione endocrina frequentemente riportata è la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS).

In passato, la terapia delle lipodistrofie mirava a ridurne le comorbidità associando dieta, attività fisica e farmaci comunemente impiegati per la cura del diabete mellito e delle dislipidemie, ma con scarsi risultati e senza andare ad agire sulle cause della malattia.

L’unico farmaco specifico per il trattamento di questa patologia è la leptina umana ricombinante, attualmente approvata negli Stati Uniti e in Giappone per il trattamento delle forme generalizzate. Questo trattamento ha lo scopo di migliorare le complicanze metaboliche associate alla patologia e diversi clinical trials hanno dimostrato l’efficacia nel ridurre in maniera statisticamente significativa la glicemia, l’emoglobina glicata (una forma che permette di misurare il livello della glicemia nel tempo), i trigliceridi e il colesterolo totale di questi pazienti.

In seguito alla somministrazione sottocutanea giornaliera della leptina ricombinante umana si è assistito anche a una riduzione del peso corporeo, delle fattezze acromegaloidi, degli xantomi cutanei (accumuli di grasso sottocutaneo) e delle alterazioni a carico del fegato.

Come ammesso dagli stessi ricercatori, le conoscenze in questo settore sono limitate sia dal punto di vista epidemiologico che relativamente alla storia naturale della patologia.

“Proprio per questo si sta lavorando all’organizzazione e all’ottimizzazione dei Registri di Patologia che hanno come obiettivo quello di ottenere informazioni utili a definire le dimensioni del problema; si tratta, inoltre, di uno strumento fondamentale per supportare la ricerca e promuovere il confronto tra operatori sanitari sia in termini di diagnosi che di terapia” prosegue Santini.

La lipodistrofia è una malattia rara, poco conosciuta e spesso sotto diagnosticata, che richiede una competenza specifica e che necessita di una condivisione della casistica tra i centri di riferimento per il miglioramento delle conoscenze e l’elaborazione di percorsi clinico-assistenziali comuni. Proprio dal palco del CUEM parte l’appello ad una migliore gestione e integrazione dei Registri di Patologia per tracciare un identikit preciso dei pazienti e delle forme da cui sono affetti.

“Questa sindrome comprende manifestazioni cliniche differenti che possono interessare contemporaneamente o separatamente le funzioni metaboliche e la distribuzione del grasso corporeo – sottolinea il prof. Andrea Giustina, Presidente CUEM e Presidente Eletto della Società Europea di Endocrinologia (ESE) – sono alterazioni del metabolismo glucidico e l’anomala distribuzione del grasso corporeo: accumulo di grasso sottocutaneo alla base della nuca, alle mammelle e all’addome sino alla perdita di grasso con assottigliamento degli arti inferiori con prominenza delle vene sottocutanee, restringimento dei fianchi e delle cosce, assottigliamento del volto (guance) con aumento delle rughe”. È chiamata sindrome perché comprende un’ampia varietà di malattie rare che, pur essendo contraddistinte da diverse cause e manifestazioni, sono accomunate da una perdita di tessuto adiposo sottocutaneo.

La mancanza di questo particolare tipo di tessuto comporta un dannoso accumulo di grassi presso altri organi, principalmente nel fegato in cui si determina una steatosi epatica, diabete, alterazioni del profilo lipidico e problemi cardiaci come la cardiomiopatia ipertrofica. Tra le forme ereditarie la più importante è nota con la sigla CGL ossia ‘lipodistrofia congenita generalizzata’.

Una patologia che ha anche una spiccata caratterizzazione ‘di genere’: nelle donne sembra essere più frequente l’accumulo di grasso, mentre negli uomini la perdita di tessuto adiposo ma anche la presenza delle alterazioni metaboliche può variare a seconda del sesso. I 100 casi hanno un rapporto Femmine/Maschi di 3:1. Il fenotipo clinico è simile a quello della sindrome di Berardinelli-Seip, ma la lipoatrofia compare successivamente durante l’infanzia, l’adolescenza o l’età adulta, facendo ritenere che si tratti di una condizione acquisita.

La sindrome si associa ad appetito vorace e accelerazione della crescita durante l’adolescenza. La diagnosi è clinica e dovrebbe essere confermata mediante una valutazione del grasso corporeo, in particolare attraverso l’assorbimetria a doppio raggio fotonico e la risonanza magnetica.

Il trattamento dei sintomi metabolici non è diverso da quello impiegato per le altre forme di insulino-resistenza: esercizio fisico, metformina o pioglitazone, insulina e suoi analoghi, antiipertensivi e monitoraggio del livelli di trigliceridi.

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