Tre importanti indagini pubblicate da Nature e promosse dagli studiosi della Global Forest Biodiversity Initiative fanno luce sul ruolo e il funzionamento delle foreste a livello globale, tra invasioni di specie aliene, capacità di assorbimento dell’anidride carbonica e possibili impatti del cambiamento climatico
Bologna, 27 novembre 2023 – Il lavoro congiunto di oltre 150 scienziati, unito all’enorme potenza di calcolo garantita dall’intelligenza artificiale, al servizio delle nostre foreste: per conoscerle meglio, scoprire come stanno cambiando e capire come proteggerle. I risultati di questo imponente impegno – promosso dagli studiosi della Global Forest Biodiversity Initiative – sono stati pubblicati in tre articoli scientifici, due dei quali usciti su Nature e uno su Nature Plants.
“Grazie al contributo combinato di centinaia di ricercatori e dell’intelligenza artificiale è stato possibile far fare alla scienza un grande salto in avanti nella comprensione dell’ecologia delle foreste del mondo ed evidenziare così ulteriormente la necessità della loro protezione – dice Roberto Cazzolla Gatti, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna e coautore dei tre studi – Senza la capacità di calcolo dei supercomputer e dell’intelligenza artificiale avremmo avuto bisogno di decine di anni e migliaia di persone dedicate, senza nemmeno la certezza di ottenere delle stime e delle previsioni attendibili”.
Specie aliene e diversità nativa
Il primo tema su cui si sono concentrati gli studiosi è l’invasione di alberi non autoctoni: un fenomeno fondamentale da capire se vogliamo tutelare gli ecosistemi nativi e limitare la diffusione di specie invasive. Quali sono i fattori che scatenano e favoriscono questo processo?
Analizzando i database degli alberi a livello globale, gli studiosi hanno determinato che la temperatura e le precipitazioni sono forti predittori della strategia di invasione: le specie non autoctone invadono con successo un territorio quando sono simili alla comunità nativa in condizioni estreme di freddo o siccità.
C’è un altro elemento, però, che ancora di più favorisce la diffusione di specie invasive: l’attività umana, in particolare in ambienti come le foreste gestite o vicino a strade e porti marittimi. “Non solo i fattori antropici sono fondamentali per prevedere se un luogo sarà invaso da alberi non autoctoni, ma la gravità dell’invasione è regolata dalla diversità nativa: una maggiore diversità riduce la gravità dell’invasione – aggiunge Cazzolla Gatti – Quindi, piuttosto che lottare contro le specie aliene quando è ormai troppo tardi, dovremmo impegnarci a proteggere la salute delle foreste: questo di per sé, come negli altri ecosistemi, renderebbe molto più difficile a una specie aliena la diffusione e l’invasività”.
Serbatoi di carbonio?
Oggi sappiamo che la protezione delle foreste è fondamentale anche per preservare la loro capacità di catturare l’anidride carbonica e diventare quindi serbatoi di carbonio terrestre. Ma qual è il potenziale globale di carbonio che le foreste potrebbero trattenere?
È il tema del secondo studio pubblicato su Nature, da cui emerge che attualmente il carbonio forestale globale è significativamente al di sotto del potenziale naturale. Circa il 61% di questo potenziale si trova in aree con foreste esistenti, dove la protezione dell’ecosistema può consentire alle foreste di recuperare fino alla maturità. Il restante 39% si trova invece al di fuori dei terreni urbani e agricoli, ma in regioni in cui le foreste sono state rimosse o frammentate.
“Sebbene le foreste non possano da sole sostituire la necessaria riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, i nostri risultati supportano l’idea che la conservazione, il ripristino e la gestione sostenibile di diverse foreste possano offrire contributi preziosi per raggiungere gli obiettivi globali per la tutela del clima e della biodiversità – spiega Cazzolla Gatti – Abbiamo potuto verificare, per la prima volta, che nonostante le variazioni regionali, le previsioni su scala globale hanno una notevole coerenza, con una differenza solo del 12% tra le stime effettuate da terra e quelle derivate dal satellite. Le foreste sono insomma un importante serbatoio di carbonio terrestre, ma i cambiamenti antropogenici nel clima e nell’uso del territorio riducono la loro capacità di assorbimento”.
Tipi di foglie e cambiamento climatico
Nel loro lavoro di indagine e analisi, gli studiosi si sono poi spinti anche oltre, cercando di comprendere nel dettaglio quali siano i fattori che controllano la variazione globale del tipo di foglia negli alberi, per capire il ruolo delle specie arboree negli ecosistemi terrestri, inclusi il ciclo del carbonio, dell’acqua e dei nutrienti.
In questo modo, gli scienziati hanno scoperto che la variazione globale tra sempreverdi e decidue è determinata principalmente dall’isotermia e dalle caratteristiche del suolo, mentre la tipologia di foglie è determinata prevalentemente dalla temperatura. In particolare, hanno stimato che il 38% degli alberi globali siano sempreverdi a foglia aghiforme, il 29% siano sempreverdi a foglia larga, il 27% siano decidui a foglia larga e il 5% siano decidui a foglia aghiforme.
“A seconda dei futuri scenari di emissioni di gas climalteranti, entro la fine del secolo una quota compresa tra il 17 e il 34 per cento delle aree forestali sperimenterà condizioni climatiche che attualmente supportano un diverso tipo di foresta: fino a un terzo del polmone verde terrestre potrà quindi essere sottoposto a un forte stress climatico – sottolinea Cazzolla Gatti – Quantificando la distribuzione dei tipi di foglie degli alberi e la biomassa corrispondente e identificando le regioni in cui il cambiamento climatico eserciterà la maggiore pressione sugli attuali tipi di foglie, i risultati di questo studio possono aiutare a migliorare le previsioni sul funzionamento degli ecosistemi forestali e del ciclo del carbonio”.