Milano, 22 ottobre 2018 – La Divisione di Diagnosi Emolinfopatologica dello IEO, diretta dal prof. Stefano Pileri, ha messo a punto per il linfoma diffuso a grandi cellule B, che costituisce il 40% dei tumori del tessuto linfatico, tre nuovi test molecolari che, individuando per ogni paziente l’aggressività del tumore al momento della diagnosi, permettono di personalizzare la terapia, migliorando fino al 50% la sopravvivenza ed evitando l’assunzione di farmaci inutili. I risultati sono stati appena pubblicati sulla prestigiosa Rivista Internazionale Annals of Oncology.
“La Medicina di Precisione diventa realtà – commenta Pileri – per la prima volta possiamo offrire ai pazienti italiani che soffrono di linfoma diffuso a grandi cellule B una diagnosi che in poco tempo, da meno di tre giorni a tre settimane, a seconda del test richiesto, permette loro di accedere all’approccio terapeutico giusto per la loro malattia. Siamo prima di tutto felici per i pazienti e le loro famiglie, e allo stesso tempo siamo orgogliosi di aver dimostrato come la ricerca molecolare associata alle tecnologie d’avanguardia contribuisca concretamente a migliorare la clinica, realizzando il trasferimento immediato dei risultati dal bancone del laboratorio al letto del malato. Nel caso dei linfomi l’analisi dell’espressione genica fornisce informazioni che cambiano la prognosi della malattia e permettono di utilizzare l’approccio terapeutico potenzialmente più efficace, riducendo per altro le tossicità non desiderate”.
Utilizzando la tecnologia del profilo di espressione genica sulla piattaforma Nanostring, Pileri ha messo a punto tre ‘pannelli’ di geni, selezionati ad hoc, per interrogare le cellule neoplastiche e il microambiente non tumorale, dal quale esse traggono spesso supporto.
Il primo comprende 20 geni che consentono di identificare la cellula di origine del processo tumorale e divide i pazienti in due gruppi di rischio. Una distinzione importante perché si sa, anche da studi precedenti, che in un gruppo la risposta al protocollo immuno-chemioterapico standard è assai modesta, con una sopravvivenza a cinque anni del 25%, mentre nell’altro è decisamente più elevata: fino al 75% a cinque anni.
Il secondo e il terzo danno informazioni rispettivamente sul microambiente, che circonda il tumore, e su potenziali nuovi target terapeutici, concorrendo quindi a completare le informazioni del primo pannello e perfezionare la personalizzazione della cura.
Tramite l’impiego combinato dei tre pannelli è quindi possibile ipotizzare la riduzione (descalation) dei farmaci nei gruppi a minor rischio e riservare approcci più aggressivi e/o basati sull’integrazione con farmaci biologi, ai pazienti che hanno scarsa probabilità di rispondere alla immuno-chemioterapia standard. Di questi pannelli, tutti sviluppati grazie al contributo fondamentale dell’Associazione Italiana per la Ricerca contro il Cancro, il primo è già approvato dalla FDA (Food and Drug Admnistration) degli Stati Uniti.
Accanto ai pannelli sopra indicati, la Divisione di Diagnosi Emolinfopatologica ha sviluppato due chip per sequenziamento di nuova generazione, che comprendono i 232 geni più frequentemente interessati da alterazioni nelle principali categorie di linfoma di derivazione dai linfociti B e T, rispettivamente.
La conoscenza di queste anomalie è importante per l’identificazione paziente per paziente di bersagli terapeutici, utile sia per la somministrazione dei farmaci ad alto costo solo là dove esiste il razionale per la loro efficacia, che per il potenziale riposizionamento di farmaci già noti per la loro attività in altre malattie.
L’Istituto europeo di Oncologia è il primo in Italia ad offrire prestazioni molecolari ad alta resa nel campo dei linfomi, utilizzando tessuto fissato in formalina ed incluso in paraffina, cioè disponibile in ogni paziente. Servizi analoghi esistono già nell’ambito delle leucemie acute, per altro utilizzando cellule fresche ottenute dal sangue periferico o dal midollo.