Linfomi: terapie geniche e immunoterapia offrono nuove speranze di cura a migliaia di pazienti

Meldola (FC), 29 aprile 2025 – Ogni anno, in Italia, si stimano circa 15.500 nuovi casi di linfoma (nel 2024, 13.271 per il linfoma non Hodgkin e 2.218 per il linfoma di Hodgkin). Oggi è possibile parlare di guarigione per una percentuale significativa di pazienti colpiti da linfoma diffuso a grandi cellule B in stadio avanzato, una forma aggressiva di linfoma non Hodgkin caratterizzata dalla rapida crescita dei linfociti B. Il 60% delle persone trattate con la terapia di prima linea guarisce. E, grazie all’immunoterapia, oggi, anche la metà dei pazienti che non rispondono più alla prima linea di trattamento guarisce.

Prima dell’arrivo di queste cure innovative, invece, la sopravvivenza di questi pazienti era di circa 6 mesi. E sono promettenti anche i risultati della ricerca sulle nuove immunoterapie, posizionate in prima linea, per trasferire questi risultati in pazienti mai trattati in precedenza. La prospettiva di anticipare l’immunoterapia in prima linea potrebbe, infatti, incrementare significativamente la percentuale di pazienti guariti.

Un’ulteriore nuova frontiera è costituita dalla caratterizzazione molecolare del linfoma diffuso a grandi cellule B, che mira alla medicina di precisione assoluta cioè, tramite indagini diagnostiche approfondite, a identificare quale sia la terapia migliore per il singolo paziente.

Il test per eseguire questo tipo di caratterizzazione tuttavia è molto sofisticato e disponibile solo in pochi centri di riferimento e si sta cercando di trovare il modo di rendere tali informazioni genetiche fruibili nella pratica clinica. Molto importanti anche i risultati ottenuti dalla ricerca nel linfoma di Hodgkin, con quasi il 90% dei pazienti vivo a 5 anni, che costituisce uno dei maggiori successi dell’oncologia moderna.

Il 9 e 10 maggio, a Roma, si svolge la seconda edizione del Convegno internazionale “The Lymphomas Conference”, con i più importanti esperti da tutto il mondo per fare il punto sulla biologia e il trattamento di tutti i tipi di linfomi. Il Convegno è organizzato proprio dall’unità di Ematologia e Trapianti dell’IRST ‘Dino Amadori’ IRCCS di Meldola e ha il patrocinio di AIL (Associazione Italiana contro Leucemie, linfomi e mieloma), AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), FIL (Fondazione Italiana Linfomi), GITMO (Gruppo Italiano per il Trapianto di Midollo Osseo, cellule staminali emopoietiche e terapia cellulare), SIE (Società Italiana di Ematologia) e SIES (Società Italiana di Ematologia Sperimentale).

“I linfomi non Hodgkin costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie ematologiche, che originano dai linfociti B o T e possono avere un comportamento indolente o aggressivo – spiega Gerardo Musuraca, Direttore dell’Ematologia e Trapianti all’IRST ‘Dino Amadori’ IRCCS di Meldola, presidente del Convegno insieme al prof. Nicola Normanno – I linfomi diffusi a grandi cellule B sono i più frequenti in Occidente e rappresentano circa un terzo dei casi di linfoma non Hodgkin. Siamo di fronte a una svolta nella cura di questa malattia e a prospettive senza precedenti. La prima linea di terapia è costituita dalla immunochemioterapia, che è in grado di curare circa il 60% delle persone, ma, nei pazienti ricaduti o refrattari, è oggi disponibile l’immunoterapia, che ha rivoluzionato la prognosi e la sopravvivenza. Oggi circa la metà del 40% dei pazienti, che falliscono la prima linea e che un tempo avevano scarse possibilità di sopravvivenza, può essere curata e guarita attraverso la terapia cellulare con CAR T, con gli anticorpi bispecifici e con le nuove immunoterapie, come gli anticorpi coniugati con ‘veleni cellulari’”.

In particolare, in Italia, le CAR T sono già approvate e utilizzate dalla seconda linea di terapia e si basano sui linfociti del paziente, modificati geneticamente, che vanno a colpire direttamente il tumore. Gli anticorpi bispecifici sono invece disponibili dalla terza linea in poi e questi ultimi agiscono come una “calamita” tra la cellula malata e i linfociti T del paziente, scatenando la risposta antitumorale.

“Sono in corso, inoltre, studi con anticorpi bispecifici anche in seconda linea, che potenzialmente potrebbero rivoluzionare ulteriormente le opzioni terapeutiche. Questo perché tale approccio ha il potenziale per migliorare gli importanti risultati già ottenuti con le CAR T, ma con una migliore maneggevolezza e tollerabilità, avendo la caratteristica, i bispecifici, di poter essere associati tra loro o con la chemioterapia – continua il dott. Musuraca – Se i risultati delle sperimentazioni saranno confermati da follow up più lunghi, sarà possibile utilizzare gli anticorpi bispecifici anche prima delle CAR T o come ‘ponte’ verso la terapia con CAR T. Infine, le suddette terapie innovative, si stanno sperimentando anche nell’associazione con la tradizionale immunochemioterapia in prima linea (bispecifici+chemioterapia) o addirittura con la sostituzione della stessa, a favore di una immunoterapia CAR T, in prima linea senza chemioterapia. Rimarrà comunque, nel futuro, necessario unire alla grande efficacia dell’immunoterapia la scoperta di marker genetici o genomici, che consentano di individuare la terapia migliore per il singolo paziente”.

Al Congresso infatti è previsto l’intervento di una delle più importanti ricercatrici al mondo su questo tema, Margaret Shipp (Dana Farber Harvard Cancer Center, Boston), una di quelle che ha scoperto la caratterizzazione molecolare del linfoma diffuso a grandi cellule B.

“Al congresso si discuterà anche della standardizzazione della profilazione molecolare, in modo che i risultati possano essere riproducibili e confrontabili nei vari studi – afferma Nicola Normanno, Direttore Scientifico dell’IRCCS, IRST ‘Dino Amadori’ – A Meldola è stato infatti avviato uno studio di diagnostica molecolare approfondita, che vuole rendere standardizzabile la caratterizzazione molecolare attraverso l’utilizzo di pannelli genetici e mutazionali già pronti e disponibili in commercio. La sperimentazione coinvolge vari centri dell’Emilia-Romagna e prevede di arruolare più di 100 pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B. L’obiettivo è una caratterizzazione molecolare approfondita attraverso pannelli multi-omici, da correlare con l’indice di rischio clinico e con i dati delle indagini radiologiche (radiomica). Ciò è attuabile con software di analisi dei dati da integrare, per cercare di ottenere in futuro una metodica ripetibile, affidabile, standardizzata, che comprenda tutte le informazioni suddette, per definire la prognosi secondo un metodo innovativo, ma di facile utilizzo in pratica clinica”.

“L’ematologia – continua il prof. Normanno – ha aperto la strada a innovazioni oggi utilizzate anche nei tumori solidi e questo Congresso dimostra la capacità dell’IRST ‘Dino Amadori’ di costruire un ponte della ricerca con i più importanti centri internazionali”.

Sono rilevanti i progressi della ricerca anche nei linfomi di Hodgkin. Oggi il trattamento standard principale è costituito dall’associazione di diversi farmaci chemioterapici (ABVD), mentre nella malattia avanzata (stadio IV) è prevista l’aggiunta di un anticorpo monoclonale anti-CD30 per potenziare l’effetto della chemioterapia.

“Al Congresso verranno discussi i risultati di due studi in grado di rivoluzionare il trattamento della malattia avanzata – sottolinea il prof. Musuraca – Uno ha confrontato l’aggiunta di nivolumab, una molecola immunoterapica, a tre farmaci chemioterapici, con lo schema costituito dall’anticorpo monoclonale anti-CD30 più chemioterapia, attuale standard di cura per la malattia avanzata. L’associazione di immunoterapia e chemioterapia ha evidenziato migliori risposte e tollerabilità in prima linea in persone di tutte le età, inclusa una quota di pazienti pediatrici. La sopravvivenza libera da progressione a 2 anni ha raggiunto il 92% rispetto all’83% con la terapia standard”.

L’altro studio riguarda il nuovo regime BrECADD e sarà discusso al Congresso da uno degli autori, Peter Borchmann (Università di Colonia, Germania). “Il regime di chemioterapia intensiva BEACOPP è stato confrontato con il nuovo schema BrECADD, una combinazione di 6 farmaci antineoplastici incluso un anticorpo monoclonale anti-CD30. La nuova combinazione ha evidenziato una sopravvivenza libera da progressione a 4 anni del 94,3% rispetto al 90,9% con BEACOPP. Non solo, BrECADD ha evidenziato meno effetti collaterali, considerando anche la fertilità post trattamento. L’attenzione alla qualità di vita dei pazienti, giovani e anziani, sta diventando sempre più centrale”.

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