“È un gran pericolo improvvisare la vecchiaia, questa dovrebbe rappresentare piuttosto il momento del compimento e del successo dell’intera vita”
Se riuscissimo a ringiovanire e a realizzare il sogno di una giovinezza eterna, cosa accadrebbe?
A questo interrogativo ha risposto a suo modo il grande scrittore F. Scott Fitzgerald.
Nel racconto, Il famoso caso di Benjamin Button, Fitzgerald ha narrato le vicende di un uomo che vive il tempo al contrario e al quale capita, in gran sintesi, di nascere da vecchio e di morire da neonato. Nel corso della sua vita, che presenta uno sviluppo a ritroso, il protagonista incontra numerose difficoltà e solo intorno ai vent’anni la sua età coincide con quella dei suoi pari.
S’innamora di una donna ed ha un figlio. I problemi tuttavia non sembrano diminuire: il protagonista ringiovanisce al punto da frequentare l’asilo in compagnia del nipote.
Fiaba bizzarra, prima esilarante e poi amara, che ribalta ogni stereotipo. Il protagonista sembra destinato a viaggiare sempre in contromano, ad affrontare ogni volta la fatica di dover essere accettato.
La vicenda apre in questo modo interrogativi sulla vecchiaia e sulla giovinezza.
Anche la scienza, da parte sua, è impegnata da tempo nello studio dei fenomeni connessi alla longevità. Questa volta sembra decisa a cercarli in fondo al mare. Ci riferiamo alle ricerche di biologia marina sulla medusa.
Alcuni ricercatori ritengono che la medusa rifiuterebbe di morire, rinnovando di continuo il proprio ciclo vitale. Maria Pia Maglietta, biologa marina, ricercatrice dell’Università del Texas, studia il modo in cui le cellule adulte dell’animale si trasformano in un ciclo vitale che si muove al contrario.
In attesa di saperne di più, le donne, e di recente anche gli uomini, scelgono di frequente la via più breve: il ricorso al bisturi. Gli interventi di chirurgia plastica in Italia, infatti, ammontano a ottocentomila e sette casi su dieci riguardano le donne. La scrittrice Barbara Alberti, nel suo libro, Riprendiamoci la faccia, si ribella con vigore a quest’ossessione. Il suo è un grido di rivolta nei riguardi di chi non accetta il proprio volto e intende rinnegare il tempo. La scrittrice sostiene che i segni del volto parlano di noi e che il rifacimento chirurgico crea soltanto delle mostruosità. “Non esiste la vecchiaia – dice – ma la nostra vecchiaia, che è diversa dalle altre”.
La ricerca sull’invecchiamento intanto si spinge oltre, superando, in questo caso, anche gli interventi della chirurgia. Ci riferiamo a un movimento che intende perseguire un obiettivo estremo: l’eliminazione della morte medesima.
Il Transumanesimo, questo il suo nome, si propone di annientare la morte entro il 2045 o quantomeno estendere la durata della vita fino a cinquemila anni. Una dichiarazione che fa tremare i polsi, di cui parla Roberto Manzocco nel suo saggio, Esseri umani 2.0. Il giornalista dice che la sfida è stata lanciata dai colossi Google e Microsoft, i quali mirano a potenziare le facoltà umane tramite l’ingegneria genetica e a sperimentare la fusione di funzioni cerebrali con dispositivi di memoria elettronica. Gli studi si avvalgono dei contributi della bioingegneria, delle neuroscienze, delle nanotecnologie e delle scienze cognitive.
Si prospettano, in questo campo, scenari da vertigine che lasciano aperto però un problema: i contenuti mentali che s’intendono trasferire sul computer rappresentano effettivamente il nostro Sé?
A questa domanda, anche se da una prospettiva diversa e complementare, sembra dare risposta la riflessione profonda del benedettino Michele Davide Semeraro, riassunta nel bel libro, Facciamo l’uomo, invecchiare e morire. La morte, a suo dire, è un atto d’amore che corona ogni cosa: morte e amore rimangono facce della stessa medaglia. Semeraro assicura che morire in “una capacità di amore” rappresenta la grande preparazione della nostra esistenza. A riguardo, ci sostiene il pensiero dello psicoanalista C.G. Jung, secondo il quale le religioni rappresentano un sistema complesso di preparazione alla morte. Semeraro, dal canto suo, evidenzia come il concetto di santità possa tradursi nella facoltà di diventare piccoli e di raggiungere così il nodo essenziale, in altre parole, il mistero di essere vivi.
È un gran pericolo, avverte il benedettino, “improvvisare la vecchiaia”, questa dovrebbe rappresentare piuttosto il momento del “compimento e del successo” dell’intera vita.
Per imparare a morire bisogna imparare a perdonarsi, assolversi prima di tutto dal non essere più giovane.
Provare ad allungare la durata della vita è ottima cosa, attenzione però a non aumentarne l’angoscia. In questo passo, lo studioso benedettino coglie un punto cardine della crisi dell’Occidente: la difficoltà di darsi pace.
Il volto rassicurante dell’attualità copre, infatti, l’angoscia della nostra esistenza.