Dalla ricerca al territorio: le novità riguardano le cure destinate al metabolismo fosfo-calcico, al rischio cardio-vascolare e alla poli-abortività nelle donne. Il prof. Carlo Foresta: “È necessario individuare presto strategie di intervento per i pazienti. Ecco le nostre proposte per i medici di base”
Padova, 22 maggio 2020 – Oggi a Padova è in programma un seminario online dal titolo “Esposizione a PFAS e manifestazioni cliniche: quali evidenze scientifiche e ruolo del medico del territorio” nel quale il gruppo di ricerca guidato dal prof. Carlo Foresta, in collaborazione con l’Università di Padova, l’Ordine dei Medici di Vicenza e la Fondazione Foresta, per la prima volta propone dei suggerimenti sanitari per le popolazioni esposte a inquinamento da PFAS.
Si tratta di consigli terapeutici per i medici di base e di buona pratica clinica da adottare. In sintesi, gli studiosi sottolineano l’importanza della comprensione dei meccanismi attraverso i quali i PFAS agiscono sul sistema endocrino-riproduttivo sia maschile che femminile e sullo sviluppo dell’embrione, del feto e dei nati, sul metabolismo fosfo-calcico e sul sistema emo-coagulativo.
“È decisivo che i medici di base possano intervenire subito con esami e approfondimenti specifici in alcuni ambiti ben definiti – spiega il prof. Foresta – Serve ad esempio una precoce analisi del potenziale di fertilità nei giovani e del rischio di tumore al testicolo. Ma anche una possibilità di intervento farmacologico con progesterone nelle donne che presentano abortività e un’individuazione precoce di ipovitaminosi D con attenta integrazione sostitutiva. Infine, è decisiva la valutazione del rischio trombo-embolico e delle patologie associate per una precoce prevenzione mediante aspirina. Appare sempre più evidente l’urgenza di ricerche che intervengano sui meccanismi di eliminazione di queste sostanze dall’organismo, nel quale possono ritrovarsi ad elevate concentrazioni anche ad anni di distanza dal momento dell’esposizione all’inquinamento”.
In particolare, durante il convegno il Presidente dell’Ordine dei Medici di Vicenza, dott. Michele Valente, ha condiviso la proposta di focalizzarsi su quattro aree di possibili interventi sanitari in base ai sintomi che il paziente può avere, anche nell’ottica di anticipare situazioni che col tempo potrebbero compromettersi ulteriormente. Ecco una breve sintesi delle proposte.
Infertilità maschile
Recentemente è stato dimostrato che i PFAS, agendo come interferenti endocrini, bloccano l’azione del principale ormone sessuale maschile, il testosterone. Queste interferenze potrebbero avere ruolo nella ridotta fertilità e suggerire di instaurare delle politiche di prevenzione, mirate a cogliere precocemente questi segni clinici nei giovani maschi.
Il dott. Enrico Ioverno suggerisce ai medici del territorio una particolare attenzione all’esplorazione preventiva dei testicoli per l’individuazione del tumore e l’insegnamento all’autopalpazione, soprattutto nei giovani trentenni che sono quelli più a rischio di sviluppare questo tipo di tumore.
Poli-abortività e interferenze sullo sviluppo embrionale
La letteratura internazionale concorda nel riconoscere un ruolo dei PFAS nella poliabortività e nelle interferenze sullo sviluppo embrionale che si manifestano in donne esposte a queste sostanze. L’interferenza dei Pfas sull’attività funzionale del progesterone suggerisce la possibilità di una terapia farmacologica nel trattamento delle poliabortività delle donne che vivono nelle zone esposte.
Come suggerito dal dott. Andrea Carosso, ginecologo dell’Aogoi: “Si può ipotizzare un trattamento con progesterone esogeno nelle donne residenti in zone esposte e che sono desiderose di prole, per ridurre gli effetti negativi indotti dagli Pfas a livello dell’endometrio uterino”.
Osteoporosi e metabolismo fosfo-calcico
Diversi studi pubblicati nell’ultimo anno sono concordi nel riportare una riduzione della massa ossea in donne e uomini esposti ai PFAS, anche di età inferiore ai 18 anni. I risultati della ricerca sviluppata presso i laboratori coordinati dal prof. Carlo Foresta e dal dott. Andrea Di Nisio hanno dimostrato come i PFAS interferiscano sul recettore per la vitamina D, riducendone l’attività e favorendo pertanto lo sviluppo di osteoporosi.
I ricercatori propongono quindi ai medici del territorio di individuare precocemente, attraverso il dosaggio della vitamina D circolante, situazioni di ipovitaminosi D nella popolazione esposta. Nei casi di ipovitaminosi D e in presenza di fattori di rischio, è suggerita l’integrazione farmacologica con vitamina D, al fine di prevenire e contrastare l’azione interferente dei PFAS sulla funzionalità di questo ormone.
Rischio cardiovascolare
Il gruppo di ricerca del professor Foresta, in collaborazione col prof. Paolo Simioni, ha evidenziato il ruolo dei Pfas nell’attivare le piastrine, rendendole più suscettibili alla coagulazione, anche in condizioni normali, predisponendo ad un aumento del rischio cardiovascolare. “Sembra che l’inquinante agisca modificando la struttura della membrana cellulare delle piastrine”, spiega il dott. Luca De Toni.
Le ultime ricerche relative all’attivazione dell’aggregazione piastrinica indotta dai PFAS dimostrano che questo fenomeno può essere contrastato dall’aspirina, farmaco già utilizzato in alcune condizioni di alterata aggregazione piastrinica. Il prof. Pietro Minuz, ordinario dell’Università di Verona, ne suggerisce l’assunzione: il farmaco, di vastissima utilizzazione nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, in vitro si è dimostrato in grado di ridurre l’attività protrombotica dei PFAS.