Il vulcano siciliano come laboratorio naturale per studiare il vulcanismo di Venere. Nuove prospettive di studio della ricerca astrogeologica
Teramo/Catania, 17 gennaio 2024 – Una soluzione per studiare il vulcanismo di Venere proprio dietro l’angolo? A risolvere il problema viene in aiuto un team internazionale di ricercatori guidati dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) in collaborazione con i vulcanologi dell’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV-OE), che hanno proposto l’Etna come un possibile analogo terrestre per lo studio di Idunn Mons, un vulcano venusiano forse tutt’ora attivo e che in base ai dati attualmente disponibili si ritiene abbia eruttato in tempi geologici recenti.
Venere e i suoi vulcani (attivi e non) sono tra gli obiettivi principali delle future missioni che studieranno il gemello della Terra, il secondo pianeta più vicino al Sole.
Lo studio “Mount Etna as a terrestrial laboratory to investigate recent volcanic activity on Venus by future missions: a comparison with Idunn Mons, Venus”, recentemente pubblicato sulla rivista Icarus, riaccende i riflettori sull’Etna, uno dei vulcani attivi più monitorati al mondo. Gli studi sul vulcano siciliano permetteranno ai geologi di testare tecniche di analisi dei dati radar per l’individuazione di attività vulcanica in corso su Venere.
Allo studio hanno partecipato NASA (USA), Università di Londra (UK), Accademia delle Scienze di Mosca (Russia), Indian Space Research Organisation (INDIA), Università degli Studi di Catania (UniCT), Università Sapienza di Roma, Università degli Studi di Pavia, Coventry University (UK) e Universidad Rey Juan Carlos di Madrid (SPAGNA).
Piero D’Incecco, primo autore dell’articolo e ricercatore presso l’INAF d’Abruzzo, spiega che “la comparazione ha evidenziato che entrambi i vulcani interagiscono con una zona di rift e che la presenza sui fianchi di Idunn Mons di strutture vulcaniche di piccole dimensioni, morfologicamente simili ai coni di scorie presenti sui fianchi dell’Etna”.
L’Etna è un vero e proprio laboratorio naturale a cielo aperto per i geologi che si occupano di vulcanismo, perché facile da raggiungere e perché è possibile effettuare osservazioni in-situ prelevando campioni di lava che saranno poi comparati con quelli prodotti dalle future missioni su Venere. I dati aiuteranno a definire il livello di similarità con le lave dei vulcani venusiani.
Due le future missioni con obiettivo Venere: quelle della NASA VERITAS e DAVINCI, la missione ESA EnVision e la missione ISRO Shukrayaan-1.
“La facilità di accesso permetterà anche di utilizzare l’Etna come possibile area di test per operazioni di perforazione del suolo da parte dei lander che atterreranno sulla superficie di Venere grazie a future missioni come la Roscosmos Venera-D”, spiega D’Incecco, di recente nominato nel Comitato direttivo del Venus Exploration Analysis Group (VEXAG) della NASA, per un mandato di 3 anni.
La comunità scientifica concorda sul fatto che il vulcanismo su Venere sia comparabile al vulcanismo di tipo hot-spot terrestre. Un esempio lampante sono i vulcani hawaiani, effusivi e caratterizzati da lave molto fluide. La presenza su Venere di strutture vulcaniche morfologicamente simili ai coni di cenere terrestri, che invece sono tipici di un vulcanismo esplosivo, apre una serie di interrogativi sulla possibilità che anche su Venere – seppur localmente – possano verificarsi episodi di vulcanismo esplosivo.
“Le future missioni su Venere ci aiuteranno a far luce anche su questa possibilità, che se confermata rivoluzionerebbe la visione attuale che abbiamo del vulcanismo venusiano”, aggiunge il ricercatore INAF.
Stefano Branca, direttore dell’Osservatorio Etneo dell’INGV e coautore dell’articolo, evidenzia: “Il vulcano Etna a partire dal XIX secolo in poi è stato, e continua ad essere, un laboratorio di ricerca per tutta la comunità scientifica italiana e internazionale riguardo gli studi di tipo geologico, vulcanologico, geofisico e geochimico e, grazie al sistema di monitoraggio multiparametrico dell’Osservatorio Etneo dell’INGV, è uno dei vulcani meglio studiati al mondo”.
“Questo lavoro evidenzia ancora di più questo aspetto anche per quanto riguarda lo studio del vulcanismo planetario, come nel caso di Venere. Infatti, le notevoli conoscenze sulla storia eruttiva del vulcano siciliano, acquisita durante gli studi realizzati per la pubblicazione della carta geologica dell’Etna alla scala 1:50.000, unitamente alle conoscenze sull’attività recente hanno permesso di fare una comparazione morfostrutturale con il vulcano Idunn al fine di individuare possibile evidenza di vulcanismo attivo su Venere”, spiega Branca.
L’analisi delle differenze e delle analogie tra strutture vulcaniche di pianeti diversi come Venere e Terra ci ricorda che non esiste un analogo “perfetto” e che, quindi, è fondamentale studiare quanti più analoghi possibile, giacché ogni vulcano terrestre può aiutarci ad approfondire e comprendere meglio un aspetto specifico del vulcanismo venusiano.
“Questo studio rappresenta il primo tassello di una importante collaborazione multidisciplinare tra astrofisici e vulcanologi dell’Osservatorio Etneo dell’INGV. Una sinergia che apre affascinanti capitoli di ricerca e getta nuova luce sui misteri del vulcanismo di Venere”, conclude Stefano Branca dell’INGV-OE.
L’articolo pubblicato su Icarus è il primo tassello del progetto “Analogs for VENus’ GEologically Recent Surfaces” (AVENGERS), a guida INAF, ed è stato ufficialmente presentato alla Lunar and Planetary Science Conference a Houston a marzo del 2023. Questo progetto, durante i prossimi anni, si occuperà proprio di selezionare e studiare una serie di vulcani attivi sulla Terra che possano fungere da analoghi per Venere.