“Lo sport funziona se correttamente prescritto: 150 minuti a settimana diminuiscono il rischio di diabete nei soggetti ad alto rischio”.
A cura del prof. Paolo Montera, dell’Università di Tor Vergata, Endocrinologo e Medico dello Sport del Servizio di Endocrinologia, Nutrizione e Metabolismo della casa di cura Villa Valeria di Roma
Roma, 28 ottobre 2015 – La nuova tendenza è considerare l’esercizio fisico come una vera e propria terapia da prescrivere, stilando una vera e propria ricetta. Anche l’American Diabetes Association ha analizzato una lunga serie di studi arrivando alla conclusione che alcuni cambiamenti nello stile di vita come una sana e corretta alimentazione e una regolare attività fisica sono in grado di ridurre di oltre il 50% il rischio di diabete di tipo II in soggetti geneticamente predisposti e quindi ad alto rischio.
Conclusioni culminate in un importante documento di consenso, le cui indicazioni sono arrivate dal finlandese Diabetes Prevention Study che ha stabilito le quantità minime di esercizio per prevenire la malattia: basterebbero infatti 150 minuti a settimana. Quindi 30 minuti per cinque giorni a settimana o 50 minuti per tre sessioni, basta non far passare mai più di due giorni tra un allenamento e l’altro.
Eppure negli ultimi anni la prescrizione del movimento come strumento di gestione e controllo del diabete è passata – colpevolmente – in secondo piano, risultando la raccomandazione meno seguita e mantenuta nel tempo dai pazienti. I motivi di abbandono più frequentemente addotti sono: mancanza di tempo (40%), stanchezza/pigrizia, motivi di salute, mancanza di impianti, distanza.
Va anche detto che il più delle volte si tratta di un consiglio generico da parte dei medici tipo “…e si muova di più”, successivo a dieta, farmaci, analisi del sangue. Il risultato è che solo il 25% si attiene con regolarità all’esercizio fisico consigliato, ma mai prescritto.
L’esercizio fisico svolto con regolarità costituisce invece una indicazione preziosa che deve essere tradotta e trasferita al paziente in maniera corretta. Innanzitutto esiste una differenza sostanziale tra attività ed esercizio fisico ove quest’ultimo è caratterizzato da un impegno muscolare strutturato e ripetitivo. Dire ‘deve fare attività fisica’ o ‘si muova di più’ è una raccomandazione generica ed anche una occasione sprecata. Oggi chi si occupa del settore del trattamento miodinamico delle malattie metaboliche, deve essere in grado innanzitutto di motivare il soggetto e poi di saper ‘prescrivere’ l’esercizio fisico dando al paziente tutti gli strumenti per mettere in atto il proposito, nel modo a lui più congeniale e stimolante. Dobbiamo quindi consegnargli una prescrizione in cui siano indicati la durata, l’intensità il tipo di esercizio e l’obiettivo che si vuole raggiungere, che nel caso dei soggetti diabetici di tipo II sarà sia ponderale che metabolico, agendo sia sul peso corporeo (circa l’80% dei soggetti è in sovrappeso/obeso) che sui valori emato-chimici, non solo glicemici, alterati. Questo perché durante l’esercizio, in particolare quello aerobico di bassa-media intensità, aumenta, da parte dei muscoli, il consumo sia di glucosio che di acidi grassi, utilizzati come carburante.
“Dottore vado tutte la mattine a fare la spesa a piedi e faccio le scale, evitando l’ascensore, può andare bene?”. Spieghiamo al paziente che l’esercizio prescritto per essere efficace deve essere condizionante, cioè indurre degli adattamenti che migliorino lo stato di ‘forma’ del soggetto e quindi dovrà avere delle caratteristiche precise: la prima di queste caratteristiche, ad esempio, è la continuità, cioè la mancanza di interruzione per almeno i primi 30 minuti. L’attività riconosciuta più efficace ai fini terapeutici è di tipo misto, prevalentemente aerobica (cioè di resistenza o endurance) ma in parte anaerobica (cioè di potenza o resistance).
L’attività aerobica (come la camminata a passo veloce, la corsetta, la bici) serve a consumare calorie soprattutto di provenienza dai grassi e quindi favorisce il calo ponderale, fa bene al cuore e migliora il trasporto di ossigeno ai muscoli. Mentre gli esercizi e gli sport di potenza o di velocità, dal sollevamento pesi, al pedalare in salita o correre velocemente etc. utilizzano prevalentemente glucosio e sono utili per aumentare il volume e il tono dei muscoli, anche a riposo, innalzando così il dispendio energetico basale.
Entrambe le tipologie di esercizio comunque aumentano l’efficacia dell’insulina, la cui perdita (insulino-resistenza) costituisce la causa sia della adiposità in sede viscerale, del diabete di tipo II, e di tutte quelle alterazioni che troviamo nella Sindrome Metabolica (Colesterolemia, Trigliceridemia, Uricemia, Pressione Arteriosa, Omocisteinemia). Maggiore è il volume di esercizio (ossia la sua intensità per la sua durata) migliori saranno i risultati in termini di riduzione del peso e della glicemia, e di miglioramento dell’insulino-resistenza. Proprio questi ultimi effetti hanno reso l’attività fisica uno strumento formidabile non solo nella cura ma anche nella prevenzione del diabete mellito di tipo II e per questo dovrebbe essere regolarmente svolto anche dai familiari dei soggetti diabetici.
Una attività fisica prescritta e strutturata quindi può essere il primo passo per evitare l’insorgenza del diabete in soggetti a rischio o per tenere sotto controllo la malattia prima di ricorrere all’uso dei farmaci. Una sessione di esercizio o sport esercita i suoi effetti benefici sui livelli del glucosio circolante (Glicemia) sino a 72 ore dopo la fine dell’attività. Almeno 150 minuti a settimana di esercizio misto (70% moderato e 30% vigoroso) insieme a una dieta modicamente ipoglucidica, permette di ottenere un calo ponderale del 5-7% e ha mostrato di migliorare la tolleranza al glucosio più di un farmaco come la Metformina.
Effetti benefici si registrano anche sui valori di emoglobina glicata (HbA1c), il parametro che indica i valori medi delle glicemie degli ultimi 90 giorni: dopo 8 settimane di esercizio fisico diminuisce il livello di HbA1c nei soggetti in movimento rispetto ai ‘sedentari’, indipendentemente dalla perdita di peso.
Quando si allena un soggetto diabetico è bene avere alcune accortezze; occorre prima verificare la sua idoneità, cioè le sue condizioni cardiocircolatorie e la eventuale presenza di complicanze; poi occorre soprattutto assegnare l’attività fisica da svolgere, in base al tipo di terapia in atto (dieta, ipoglicemizzanti orali, Insulina) e all’orario di assunzione o somministrazione del farmaco; è tassativo ad esempio, in caso di terapia con insulina ad azione rapida, svolgere l’attività fisica solo dopo la fine del suo effetto (in media tre/quattro ore), come sarà opportuno altresì ridurre la sua posologia nella somministrazione successiva, per evitare l’insorgenza di pericolose crisi ipoglicemiche.
È buona norma prescrivere l’esercizio fisico, indicando la frequenza e la durata degli allenamenti, la loro intensità e la tipologia, solo dopo aver motivato il paziente e aver indicato degli obiettivi a breve e lungo termine e mettendolo in condizioni di sentirsi sempre a proprio agio, in un ambiente rilassante, non competitivo e professionalmente qualificato; è qui infatti che convergono le competenze del medico dello Sport e quelle del laureato in Scienze Motorie; il primo dovrà interfacciarsi col diabetologo di riferimento, il secondo curare il corretto svolgimento degli esercizi. Ad esempio, il medico dovrà individuare la frequenza cardiaca di allenamento in base all’obiettivo che ci si prefigge, a seconda che si voglia ottenere un significativo dimagrimento, oppure prevalentemente un controllo della glicemia, oppure entrambi i risultati, e il preparatore dovrà curare che il paziente si mantenga, durante la seduta, entro questo parametro. È stato appurato che il fenomeno dell’abbandono si verifica mediamente entro i primi tre mesi, successivamente l’apprezzamento dei benefici conseguiti lo rende molto meno frequente.
Per molto tempo si è pensato che gli esercizi di potenza (pesistica, velocità, forza) potessero rappresentare un rischio per il paziente diabetico, ma recenti studi hanno dimostrato che, se eseguiti sotto la supervisione di un esperto, questi esercizi possono essere svolti in sicurezza e anzi sono complementari a quelli più collaudati di resistenza. Il programma di allenamento dovrà prevedere un graduale incremento dei carichi di lavoro in modo da creare quegli adattamenti salutari, sia a livello muscolare che metabolico, che porteranno a un migliore stato di salute generale e a una riduzione dell’assunzione dei farmaci o delle unità di Insulina abitualmente somministrate, cosa questa, in generale, molto gradita dai pazienti.
Dobbiamo quindi considerare l’esercizio come un vero e proprio farmaco per tutte le patologie metaboliche, sicuro ed efficace. D’altro canto anche l’American College of Sport Medicine, solo due anni fa, ha evidenziato come questa quantità di movimento può contribuire a prevenire e curare oltre 40 patologie, da quelle cardiovascolari ai tumori sino alla depressione e all’osteoporosi. Va ricordato infatti che l’assenza di movimento, altrimenti detta sedentarietà, è la quarta causa di mortalità e invalidità nel mondo e che l’Italia, sotto questo aspetto, ha il triste primato di essere il paese più sedentario d’Europa e nella scuola con meno ore di Educazione Fisica (Indagine CONI-ISTAT 2014).
fonte: ufficio stampa