L’equivoco delle coscienze

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Nicoletta Cocco

Sono sempre di più gli anziani che hanno scoperto le gioie di una nuova vita proprio nella terza età. Sono quelli che godono di buona salute, hanno “sistemato” i figli e organizzato la loro vita facendo i nonni o coltivando passioni e interessi. E quanti di loro si rimettono in gioco in amore, con rinnovato slancio da far invidia ai tiepidi giovani.

Insomma, una terza età tutta rosa e fiori?
No, non è così, non per tutti. La solitudine oggi è ancora il male più diffuso, quella dei vecchi è la più drammatica.

Molti di loro vivono in una condizione di emarginazione più o meno cosciente. Trascinano i loro giorni mal sopportati da qualche parente benevolo o cercano di concludere la loro esistenza come un fardello del quale non si può fare a meno.

È in queste condizioni che piano piano perdono la gioia di vivere, di godere ancora della vita. La loro inutilità li piega e li abbrutisce, i mali dell’età trovano facile terreno in esseri ormai vinti dentro.

Ma è ineluttabile invecchiare – quando si ha la fortuna di vivere a lungo – il problema è come si invecchia e con chi.

Troppi gli anziani abbandonati nell’incuria più profonda e privati non solo di quella tenerezza affettuosa, di cui tanto avrebbero bisogno, ma anche delle più banali attenzioni, che potrebbero sollevarli dallo stato di angoscia e di ansia, che spesso li annienta e li vince più della stessa solitudine. Anche un mancato sorriso offende e mortifica l’anziano, aggiungendo umiliazione al dolore.

Spesso la sofferenza prolungata rompe gli equilibri meglio consolidati di una famiglia e proprio come una tempesta spoglia un albero delle sue foglie, così nella vita un tragico evento mette a nudo l’animo delle persone. Circostanze in cui si è costretti a prendere atto dell’aridità dei sentimenti di alcuni.

È innegabile, assistiamo a uno stravolgimento della scala dei valori umani, complici gli stili di vita sempre più alienanti, spesso legati all’abuso dei social network, piattaforme dove tutti sono virtualmente amici, dove il dialogo è superfluo, dove l’interazione reciproca si misura a colpi di like.

Una virtualità che ha fatto terra bruciata di umanità, che ha generato in molti l’incapacità di rapportarsi alla realtà, quella fatta di strette di mano, di gesti concreti, di sorrisi autentici.
Addirittura per molti la virtualità è una via di fuga, i più cercano di colmare i vuoti di una realtà insoddisfacente e frustrante, finendo per imbattersi nel riflesso della loro stessa solitudine.

La realtà offline è “faticosa”, non basta un click per risolvere il problema. C’è bisogno di altro. Di impegno, di tempo, di spazio… ma prima di tutto c’è bisogno della presa di coscienza. Ma prendere coscienza di un problema implica un richiamo a responsabilità a cui molti diventano sordi.

Si riempiono la bocca di solidarietà e compassione, e cadono nell’equivoco della coscienza, perché di fronte alla concreta necessità si tirano indietro, fingono di non vedere/non sapere, addirittura scappano!

Se il destino che si prospetta a questi fuggitivi è quello che riservano ai vecchi di oggi, è ben misero il loro futuro.

Nicoletta Cocco

Direttore responsabile insalutenews.it

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