Uno studio dell’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano e dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche ha dimostrato l’efficacia di una strategia di editing genetico nel correggere il difetto responsabile di immunodeficienze combinate gravi, a carico del gene RAG1. La ricerca è pubblicata su Science Translational Medicine
Milano, 9 febbraio 2024 – Sono positivi i primi risultati della strategia di editing genetico basata sulla tecnica CRISPR/Cas9 – detta anche “taglia e cuci del Dna”- messa a punto dai ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano e dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irgb) per le immunodeficienze primitive dovute a difetti nel gene RAG1: lo descrive un articolo pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine, curato dal gruppo di ricerca guidato da Anna Villa, ricercatrice dell’unità milanese del Cnr-Irgb.
Il deficit di RAG1 fa parte delle immunodeficienze combinate gravi (SCID) e dipende da mutazioni in un gene molto importante per il corretto sviluppo del sistema immunitario. RAG1 è regolato in maniera molto fine, per cui deve essere ‘acceso’ e produrre la proteina che codifica soltanto in un breve lasso di tempo durante la vita dei linfociti T e B.
In condizioni normali, RAG1 contribuisce alla produzione di entrambi i tipi di globuli bianchi: se però non funziona, ecco che queste cellule non si formano, lasciando l’organismo privo di due componenti fondamentali per difenderci dalle infezioni.
Chi nasce con un deficit di RAG1 presenta quindi fin dalla nascita un’immunodeficienza grave, con infezioni ricorrenti e potenzialmente fatali, diarrea cronica, eruzioni cutanee, ritardo della crescita: l’aspettativa di vita è limitata se non si interviene. Esistono, poi, dei casi in cui la proteina RAG1 non è del tutto assente, ma è in grado di promuovere soltanto la formazione di poche cellule: questo si traduce in un’attività sregolata del sistema immunitario, caratterizzata da autoimmunità e infiammazione cronica (sindrome di Omenn e SCID atipiche).
L’unico intervento risolutivo è il trapianto di cellule staminali del sangue, a condizione che sia disponibile un donatore compatibile. Purtroppo, il fattore tempo può influire sull’efficacia del trapianto: è bene che sia eseguito nei primi mesi di vita, infatti nei casi di diagnosi tardiva il danno a carico dei diversi organi può comprometterne il successo.
In Italia, inoltre, lo screening neonatale per le SCID – strumento particolarmente utile per una diagnosi precoce- non è inserito nel pannello nazionale di screening, come invece avviene negli USA e in Paesi europei come la Danimarca, la Germania, la Norvegia, l’Islanda, l’Irlanda e la Svizzera. Nel nostro Paese, infatti, solo alcune regioni o città hanno attivato progetti pilota o programmi dedicati (ad esempio in Toscana e Liguria, e nelle città di Padova e Palermo), ma resta ancora in attesa il suo inserimento nel pannello nazionale di screening.
Il team di ricerca è al lavoro da molti anni per mettere a punto strategie terapeutiche alternative per tali immunodeficienze combinate gravi. Come spiega Maria Carmina Castiello (Cnr-Irgb, SR-Tiget), prima autrice del lavoro: “L’editing genetico, su cui siamo concentrati dal 2016, consente di correggere il difetto genico lasciando RAG1 nella sua sede naturale, mantenendone una regolazione fisiologica. La correzione è stata effettuata nelle cellule staminali ematopoietiche, in grado di generare tutte le linee del sistema immunitario compresi i linfociti T e B. L’approccio di editing genetico si aggiunge alle piattaforme di terapia genica basata sui vettori di origine virale, come è stato fatto con successo in altre patologie, quali ad esempio l’ADA-SCID, o la sindrome di Wiskott-Aldrich”.
Negli anni il gruppo ha tentato diverse strategie, fino a individuare quella più promettente descritta in questo studio. Il sistema correttivo sfrutta l’ormai celebre CRISPR/Cas9, oggetto del premio Nobel per la medicina nel 2020: un enzima in grado di tagliare il DNA, associato a una sequenza di RNA che fa da guida e consente di indirizzare il taglio nel punto desiderato, cioè dove c’è la mutazione patologica.
Per introdurre il sistema di “taglia e cuci” nelle cellule è stato usato il metodo dell’elettroporazione, che tramite brevi impulsi elettrici consente di aprire i pori sulla membrana delle cellule. Una volta effettuato il taglio, i ricercatori hanno fornito alla cellula la sequenza corretta con cui riparare il DNA, tramite vettori virali che non si inseriscono nel DNA cellulare, per evitare qualsiasi modifica indesiderata. La tecnica è frutto di una lunga collaborazione con il gruppo del direttore dell’SR-Tiget Luigi Naldini, e in particolare con Samuele Ferrari e Daniele Canarutto.
“Con questa strategia siamo riusciti a correggere tra il 20 e il 30 per cento delle cellule staminali bersaglio: una percentuale molto soddisfacente se consideriamo che, come è emerso in nostri studi condotti sul modello murino, basta correggerne il 5-10 per cento per ottenere un effetto terapeutico”, aggiunge Anna Villa (Cnr-Irgb, SR-Tiget).
“Il prossimo passo sarà perfezionare il sistema di correzione veicolando la sequenza corretta mediante un nuovo sistema di trasporto basato su nanoparticelle, analogo a quello impiegato nei vaccini anti-Covid. Il nostro obiettivo è riuscire a trasferire questo approccio terapeutico in clinica: potenzialmente potrebbe rivelarsi un’alternativa al trapianto, sia per ovviare alla mancanza di un donatore, ma anche per limitare i rischi legati al condizionamento chemioterapico”, conclude Villa.