Le faglie dell’Etna rappresentano un triplice pericolo per le popolazioni: generano terremoti, fratturano il suolo ed emanano radon, un gas cancerogeno che può accumularsi nelle case rendendole insalubri. Lo studio, a firma INGV, è stato pubblicato sulla rivista internazionale “Frontiers in Public Health”
Roma, 14 maggio 2019 – L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) da molti anni analizza su tutto il territorio nazionale il radon, un gas cancerogeno che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) colloca nel “gruppo 1”, ovvero tra i più pericolosi per la salute umana.
Un territorio particolare è quello dell’Etna, sui cui fianchi affiorano numerose faglie che presentano una peculiarità: fratturano intensamente le rocce esse circostanti aumentando significativamente la loro permeabilità. Ciò consente ai fluidi e ai gas presenti nel sottosuolo di muoversi più liberamente in quelle zone fratturate, raggiungendo la superficie con più facilità. Tra questi gas, emerge in superficie anche il radon.
L’INGV monitora il radon sull’Etna h24 attraverso una rete di sensori dislocati nel terreno in aree chiave per interpretare l’attività vulcanica e sismica, raffrontando questo dato con i numerosi altri segnali provenienti dalle fitte reti di monitoraggio dell’Osservatorio Etneo (INGV-OE).
Dal 2015, però, le analisi del radon sono state eseguite anche in aria e, in particolare, ‘indoor’, cioè all’interno delle abitazioni per verificare se il gas, non percepibile dai nostri sensi giacché inodore, incolore e insapore, assume concentrazioni pericolose per la salute umana.
I primi risultati delle misure radon indoor sono stati appena pubblicati sulla rivista internazionale Frontiers in Public Health – Environmental Health, in un articolo scientifico intitolato “Preliminary Indoor Radon Measurements Near Faults Crossing Urban Areas of Mt. Etna Volcano (Italy)”, firmato da Marco Neri, Salvatore Giammanco e Anna Leonardi.
Per tre anni sono state registrate misure continue da dodici sensori collocati in sette edifici ubicati sulle pendici meridionali e orientali del vulcano, nei territori di Giarre, Zafferana Etnea, Aci Catena, Aci Castello e Paternò.
Il monitoraggio continuo su lungo periodo del radon indoor ha consentito ai ricercatori di ‘depurare’ i segnali di concentrazione del radon dalle variazioni indotte dalle condizioni ambientali, a loro volta legate all’alternarsi delle stagioni.
I sensori hanno rilevato concentrazioni medie annue spesso superiori a 100 Bq/m3 (Bequerel per metro cubo), che corrisponde al valore di primo livello di attenzione per esposizione media annuale raccomandato dall’OMS. In alcuni casi, tale concentrazione media è risultata maggiore di 300 Bq/m3, con punte superiori a 1.000 Bq/m3 registrate per molti mesi consecutivamente. Questi dati completano i rilevamenti delle concentrazioni di radon misurate nei terreni dell’Etna negli anni passati, che hanno mostrato valori variabili da poche migliaia a oltre 70.000 Bq/m3.
Lo studio documenta, inoltre, che le abitazioni con maggiore presenza di radon al loro interno sono ubicate in prossimità di faglie attive. In altre parole, più le case monitorate erano ubicate in prossimità delle faglie, più è risultata alta la concentrazione di radon al loro interno.
Questo dato conferma, una volta di più, che la pericolosità delle faglie etnee è data non solo dalla loro sismogeneticità ma anche dalla loro permeabilità ai gas, consentendo la risalita del radon.
In definitiva, l’articolo pubblicato su Frontiers in Public Health documenta un primo campionamento continuo e pluriennale del radon indoor, anche se riguarda un numero limitato di abitazioni. Tuttavia, i dati raccolti evidenziano un potenziale problema per la salute della popolazione etnea, che ammonta quasi a un milione di persone, e pertanto appare opportuno e utile approfondire ed estendere questo monitoraggio a un campione di edifici maggiormente corposo.
Nell’insieme, quindi, un quadro generale che merita l’attenzione dei ricercatori che si occupano di valutare la salubrità degli ambienti abitati, anche considerando che il recente sisma del 26 dicembre 2018, colpendo pesantemente il versante sud-orientale dell’Etna, ha evidenziato ancora una volta la vulnerabilità del territorio etneo e la sua esposizione a fenomeni naturali di vario tipo.