Roma, 4 gennaio 2018 – Con un emendamento alla legge di bilancio dell’ultima ora, inserito nel maxi emendamento e non passato al vaglio di ammissibilità per mancanza di tempo, è diventata legge una norma che stravolge l’accordo quadro sui rinnovi dei contratti e rischia di far saltare per molti mesi l’iter per il rinnovo dei contratti di lavoro, peraltro fermi da dieci anni, dei dirigenti medici sanitari e amministrativi del Servizio Sanitario Nazionale e degli Enti locali. La denuncia arriva dalla COSMED, la Confederazione sindacale dei medici e dirigenti.
Si tratta – precisa la Confederazione – del comma 687: “La dirigenza amministrativa, professionale e tecnica del Servizio Sanitario Nazionale, in considerazione della mancata attuazione nei termini previsti della delega di cui all’articolo 11 comma 1, lettera b), della legge 124 del 7 agosto 2015, rimane nei ruoli del personale del Servizio sanitario nazionale. Con apposito Accordo, ai sensi dell’articolo 40, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, tra Aran e Confederazioni sindacali si provvede alla modifica del Contratto collettivo quadro per la definizione delle aree e dei comparti di contrattazione per il triennio 2016-2018 del 13 luglio 2016”.
Precisiamo che l’accordo quadro su aree e comparti in questione è un atto obbligatorio e preliminare all’apertura dei tavoli negoziali che stabilisce quanti e quali contratti devono essere previsti e inserisce tutte le categorie in specifici contratti. Senza l’accordo quadro non è possibile alcuna procedura negoziale e nemmeno la composizione delle delegazioni sindacali la cui rappresentatività è misurata sulla base delle categorie coinvolte.
L’accordo quadro per il triennio 2016-18 è stato stipulato il 13 luglio 2016 e ha consentito la stipula dei contratti del comparto e della dirigenza dell’istruzione e ricerca.
Se gli effetti della norma fossero retroattivi – è l’allarme della COSMED – salterebbe la legittimità dei tavoli della dirigenza del Servizio sanitario nazionale e degli enti locali e si renderebbe necessario un nuovo accordo quadro seguito da un nuovo accertamento della rappresentatività calcolata sulla nuova composizione delle aree per definire le delegazioni sindacali.
Salterebbero anche gli atti di indirizzo e si dovrebbe riprendere con un iter che richiederebbe nuovi atti di indirizzo, stipula del nuovo accordo quadro e della nuova rappresentatività con le conseguenti autorizzazioni e i tempi tecnici di valutazione da parte di Governo, Ragioneria e Corte dei conti. Sarebbe la pietra tombale almeno per il 2019 al rinnovo dei contratti di lavoro per queste categorie di dirigenti.
Anche considerando la norma non retroattiva, in ogni caso si tratterebbe di un’invasione inaudita e incostituzionale della politica che interviene su una materia pattizia delegata dalla legge al libero accordo tra ARAN e le confederazioni sindacali e sulla quale il Governo è intervenuto andandone a condizionare pesantemente i contenuti.
Sono in gioco l’autonomia e l’indipendenza delle organizzazioni sindacali.
Inoltre ricordiamo che l’Accordo quadro del il 13 luglio 2016 fra Aran e Confederazioni sindacali venne sottoscritto all’unanimità e con pieno titolo.La norma fa confusione tra ruolo (al quale appartengono da sempre i dirigenti PTA e non ne sono mai usciti in quanto il CCNQ in oggetto non definisce i ruoli ma il perimetro contrattuale) e contratti di lavoro.
La norma approvata non è di natura finanziaria, ma ordinamentale e quindi nulla ha a che vedere con la legge di bilancio, in passato proposte simili sono state dichiarate inammissibili dalle commissioni parlamentari.
A tanto è giunta la fantasia emendativa.
Si rende conto il Governo della gravità dell’atto, unilaterale e non passato al vaglio di legittimità?
Quali obiettivi si pone con questo atto?
Governo, Regioni, ARAN e Comitato di settore chiariscano subito il perimetro della norma e le loro reali intenzioni rimuovendo un incredibile ostacolo sconsideratamente giustapposto all’iter negoziale.
Oltre 150.000 dirigenti attendono risposte urgenti.
La COSMED chiede l’immediato ritiro della norma con decreto legge o sarà inevitabile la calendarizzazione di una lunga e articolata mobilitazione.